di Bruno Pizzica, SPI CGIL Emilia-Romagna; Fausto Viviani, Auser Emilia-Romagna

Chissà se abbiamo scelto consapevolmente proprio il 2032 come titolo di questo volume, anche come  punto  di  riferimento  utile  a  ragionare  sugli  scenari  di  un  futuro  che,  in  realtà,  è  già cominciato.Nel 2032 anche noi, come tanti, avremo 80 anni e dovremo rapportarci con una società – immaginiamo – ulteriormente cambiata, che proporrà nuovi equilibri, ma anche molti squilibri non sempre facili da governare.
Anche Lidia Ravera, che firma la prefazione di questo libro (grazie!), avrà 80 anni nel 2032: la sua è una dichiarazione di ottimismo che fa bene, con la giusta dose di “sogno” che deve sempre guidare le nostre azioni e la nostra mente.
Magari andrà proprio così per alcuni, ma non per una gran parte delle persone “anziane” dei prossimi anni.
Questo volume nasce proprio dalla voglia (l’esigenza) di ragionare senza un esplicito e condiviso filo conduttore, di quale potrà essere la condizione anziana nel prossimo futuro (il 2032, appunto), provando a superare una certa riottosità generale a confrontarsi con lo scenario che ci si troverà di fronte. Anche per questo, dobbiamo ammettere che aver riscontrato interesse da parte di tanti autorevoli e vari interlocutori che hanno voluto rispondere positivamente al nostro invito, è stata una sorpresa piacevole e utilissima.
Dunque il 2032 è davanti a noi, scorre nelle pagine del volume, si presenta con punti di vista diversi che aiutano a riflettere e – chissà – a prefigurare situazioni e soluzioni. Era esattamente l’obiettivo che, come Auser e SPI dell’Emilia-Romagna, ci siamo posti come punto di partenza e di arrivo di questa iniziativa, con la convinzione che sia indispensabile, per aprire orizzonti nuovi, innanzitutto “mettere a nudo anche i nostri ritardi, le nostre pigrizie, la tendenza a classificare una realtà che cambia con vecchie categorie” come disse Bruno Trentin, nel suo ultimo discorso, pronunciato a Fermo nel maggio del 2006.
Gli interventi dei nostri autori – grazie di cuore per il loro impegno –, proprio in questa chiave, propongono spunti e riflessioni interessanti, ovviamente con angolature diverse, che tuttavia, nel loro insieme, possono costituire una solida base di partenza per una discussione che, certo, non può esaurirsi con questo o altri volumi. Il tema è di grandissimo rilievo, imponente, ci verrebbe da dire, perché la trasformazione demografica in atto da diversi anni e che accentuerà i suoi caratteri principali nel nostro Paese, porrà l’esigenza inevitabile di nuove forme sociali, di nuovi servizi, di un nuovo assetto delle città (dalle politiche di mobilità a quelle che costruiscono relazioni sociali) e, perché no, anche di nuovi equilibri economici.
Il  saggio  di  apertura  di  Gian  Luigi  Bovini  non  si  limita  a  delineare  esattamente  le  misure quantitative di questa trasformazione, ma indica con altrettanta chiarezza la necessità di scelte politiche all’altezza della situazione destinata a prodursi.
A noi sembra peraltro – e questo è uno dei punti di vista significativi che vorremmo proporre e che emerge nella nostra ricerca – che l’aumento della popolazione “anziana” possa rappresentare innanzitutto una opportunità per la società, per la comunità, per la stessa crescita economica.
C’è una parola chiave in questo senso, invecchiamento attivo, che va declinata in modo ben più complesso di quanto capiti oggi.
L’anziano attivo non è solo quello che, da volontario, regola l’uscita da scuola dei bambini delle elementari. L’anziano attivo è un cittadino a tutto campo che vive la sua vita in piena autonomia, che produce valore sociale ma anche valore economico (si pensi a quanto vale in termini di crescita di Prodotto Interno Lordo, il lavoro di cura familiare che milioni di “nonne e nonni” mettono a disposizione della propria famiglia e della società nel suo complesso, troppo spesso supplendo ai buchi del sistema di protezione sociale); un cittadino che consuma beni non solo primari, che viaggia, che “entra” nelle nuove tecnologie, le utilizza, le sollecita a rapportarsi con la condizione anziana.

Esiste già una economia “generazionale” (basta guardare gli spot pubblicitari in tv) e siamo convinti possa avere uno sviluppo ulteriore e trainante: investendo nel sistema di welfare come motore, ma anche investendo in prodotti innovativi che promuovano e nello stesso tempo rispondano alle esigenze  dell’anziano  attivo.  E  sarà  una  grande,  difficile  sfida  ma  anche  una  straordinaria opportunità di investimenti e lavoro rispondere ai bisogni e alle aspettative di una fascia così significativa di popolazione: nuovi servizi che vadano oltre l’attuale sistema, accessibilità dei luoghi della città privati e pubblici, sicurezza, domotica… gli ascensori da installare.

Nel 2032 saranno tanti di più anche gli anziani fragili o con problemi di crescente non autosufficienza. Noi poniamo da tempo e in ogni occasione l’esigenza di costruire da adesso risposte in grado di confrontarsi con un problema al quale non si potrà sfuggire (a meno che qualcuno non abbia in mente soluzioni estreme, che… con i tempi che corrono e gli attuali venti della politica italiana, potrebbe anche non stupire del tutto…). Noi siamo convinti che l’unica risposta possibile e praticabile con qualche efficacia sia quella di un investimento massiccio sulla prevenzione.
“La  vecchiaia  va  preparata”,  scrive  Flavia  Franzoni  nel  suo  intervento,  e  va  sostenuta,  ci sentiremmo di aggiungere. Prepararla bene è compito che spetta in primo luogo a tutti noi, che avremo 80 e più anni nel 2032: stili di vita, interessi da coltivare e non abbandonare, relazioni familiari e sociali, indicazioni sanitarie… sostenerla è compito che spetta al mondo che c’è intorno. C’è un passaggio chiave tra la condizione di anziano attivo e quella di anziano prima parzialmente, quindi totalmente non autosufficiente: è il passaggio della fragilità, quello che si manifesta e si avverte quasi sempre in modo graduale, passo dopo passo come una sorta di campanello d’allarme che vibra in modo sempre più significativo. Il nuovo assetto di un sistema di servizi ad antenne dritte, forse proprio da lì deve partire, dalla capacità di “leggere” la condizione delle persone, di cogliere le prime fragilità, di tenerle monitorate con una presa in carico precoce e quindi attenuandone  gli  effetti  e  la  crescita,  per  ritardare  il  più  possibile  il  passaggio  alla  non autosufficienza.  Il  sistema  comunità  gioca  in  questo  caso  il  ruolo  essenziale  di  care  giver competente e diffuso che chiama in causa la responsabilità solidale individuale e collettiva.
Del resto la fragilità può essere determinata da molte cause, concomitanti e non,   e proprio per questo richiede interventi articolati e di diverso genere: fragilità sociale, fragilità sanitaria, fragilità familiare,  fragilità  da  senso  di  marginalità,  la  fragilità  economica  segnata  da  pensioni  basse destinate a ridursi ulteriormente per effetti della riforma Fornero e che oggi colpisce in particolare le donne, ma che coinvolgerà nel prossimo futuro una intera generazione di lavoratori precari e discontinui, con trattamenti pensionistici ai limiti della sopravvivenza.

Dunque il 2032 è dietro l’angolo e porta con sé opportunità e problemi: i testi che compongono questo volume, ci aiutano a coglierli e indicano strade possibili per una società  che non solo consenta di vivere più anni, ma anche di viverli bene, magari nella propria casa o comunque in un contesto domiciliare, tipo co-housing o appartamenti protetti o condomini solidali.La  sfida  della  longevità  è  già  stata  lanciata  ed  è  illusorio  pensare/sperare  che  le  cose  si aggiusteranno in qualche modo: come in tutte le cose, occorre avere chiara sin d’ora la prospettiva e prepararsi ad affrontarla per tempo.

Arrivederci al 2032!