di Gianluigi Bovini, statistico, già Capo Area Programmazione, Controlli e Statistica, Comune di Bologna

In Emilia-Romagna attualmente gli uomini vivono mediamente 81 anni e le donne 85. Gli esperti concordano che entro il 2065 la speranza di vita potrebbe avvicinarsi a 86 anni per i maschi e 90 per le femmine.  La conquista della longevità nei Paesi sviluppati è una delle maggiori trasformazioni demografiche e  sociali degli  ultimi cinquanta anni  e  l’Italia e  la  nostra  regione occupano le posizioni di testa nella graduatoria dei luoghi dove si vive più a lungo. Questo decisivo indicatore testimonia quanto sia prezioso e avanzato il sistema di convivenza sociale ed economica che abbiamo saputo costruire, raccogliendo e perfezionando l’eccezionale lascito di coraggio, generosità e capacità realizzativa che ci è stato trasmesso dalla generazione protagonista della ricostruzione morale e materiale del Paese e della nostra terra emiliana e romagnola. Ora ci dobbiamo interrogare su  come  conservare  questa  conquista,  permettendo  nei  prossimi  decenni  al  maggior  numero possibile di donne e uomini di vivere bene e a lungo in questa regione. La sfida della longevità che ci attende è bella, impegnativa e inedita e richiede grande lungimiranza e una coraggiosa capacità di innovazione. Nelle mie intenzioni questo contributo per affrontare in modo equo ed efficace tale sfida è un omaggio alla generazione alla quale hanno appartenuto i miei genitori, verso la quale avverto sempre di più con il passare degli anni l’esigenza di testimoniare   affetto e gratitudine per l’eredità che ci hanno trasmesso.Molti studiosi concordano che la demografia debba avere un ruolo essenziale nella costruzione di qualsiasi scenario di evoluzione sociale ed economica a medio e lungo termine. Questa esigenza si pone in particolare in questo periodo che alcuni definiscono di disordine demografico, dove convivono l’invecchiamento del Nord del mondo e la pressione migratoria del Sud. Le tendenze all’aumento assoluto e relativo della popolazione anziana condizioneranno in modo rilevante le società avanzate e l’Italia è uno dei Paesi protagonisti di questa trasformazione.
Le previsioni demografiche elaborate dall’Istat nel 2017 debbono essere oggetto di attenta valutazione da parte di tutti i cittadini e in particolare da parte di chi ha responsabilità dirigenziali nella sfera sociale, economica e politica. Il futuro demografico del Paese che viene delineato in questo lavoro con riferimento al periodo 2016-2065 presenta elementi che richiedono attente valutazioni e modifiche dei comportamenti individuali e collettivi. Il primo dato da evidenziare è che nello scenario mediano la popolazione residente attesa per l’Italia è stimata pari a 58,6 milioni nel 2045 e a 53,7 milioni nel 2065. La perdita di residenti rispetto al dato 2016 (60,7 milioni) sarebbe di 2,1 milioni nel 2045 e di 7 milioni nel 2065. Questo calo di popolazione si potrebbe manifestare con particolare intensità nel Mezzogiorno, che vedrebbe accentuare i divari sociali ed economici anche per effetto di un’inedita fragilità demografica. Nel Centro-Nord il bilancio della popolazione  potrebbe  rimanere  positivo  fino  al  2045  e  poi  anche  in  queste  zone  del  Paese inizierebbe una traiettoria di progressivo declino della popolazione.
Fra gli esperti l’opinione prevalente è che in futuro le nascite non saranno sufficienti a compensare i decessi,  nonostante  una  previsione  di  rialzo  della  propensione  individuale  a  procreare.  Nello scenario mediano il saldo naturale, che rappresenta la differenza fra i nati e i morti, dovrebbe raggiungere nei prossimi anni quota -200.000 e poi aggravarsi progressivamente fino a passare le soglie di -300.000 e -400.000 unità nel medio e lungo termine. Il dato delle nascite verrà condizionato negativamente dal forte calo della popolazione maschile e femminile nelle classi di età dove si registrano i più elevati quozienti di fecondità, che è un effetto dilazionato nel tempo della forte caduta della natalità registrata negli scorsi decenni. La sopravvivenza è invece prevista in ulteriore aumento: entro il 2065 la vita media crescerebbe fino a 86,1 anni per gli uomini e a 90,2 anni per le donne.
Nella stima della popolazione residente formulata dall’Istat un contributo determinante è quello legato alla previsione delle migrazioni con l’estero. Il saldo migratorio con l’estero è previsto positivo  su  un  valore  medio  superiore  alle  150.000  unità  annue  (il  dato  rilevato  nel  2015 evidenziava un saldo attivo di 133.000 unità). Nello scenario mediano si assume una quota annua di immigrati dall’estero (italiani e stranieri) che si mantiene a lungo attorno al livello di 300.000 unità annue e che scende poi con gradualità fino alle 270.000 unità annue entro il 2065. In questa ipotesi si stima che nel periodo 2016-2065 immigrino complessivamente in Italia 14,4 milioni di persone. Per quanto riguarda invece il flusso migratorio verso l’estero (dove la presenza di giovani cittadini italiani è sempre più rilevante) nello scenario mediano si ipotizza, dopo una prima fase di lieve diminuzione, un’evoluzione stabile nel medio e lungo periodo attorno a un valore medio di 130.000 unità annue a partire dal 2035. Nel periodo 2016-2065 gli emigrati dall’Italia sarebbero complessivamente 6,7 milioni e il saldo migratorio con l’estero nei prossimi cinquanta anni avrebbe quindi un valore positivo pari a 7,7 milioni di individui. A livello territoriale tutto il Paese potrebbe usufruire di questi saldi migratori con l’estero positivi, con valori nettamente più accentuati nel Centro-Nord.
Lo studio Istat evidenzia con chiarezza che i flussi migratori con l’estero sono caratterizzati da un’incertezza sulle future tendenze più elevata rispetto alle altre componenti demografiche. Le migrazioni internazionali sono infatti regolate da normative che possono subire modifiche anche radicali e sono influenzate in modo marcato da fattori demografici, sociali, economici e politici internazionali di ardua interpretazione e previsione. Fra i fattori che possono condizionare questi spostamenti di popolazione l’Istat ricorda la pressione migratoria esercitata nei Paesi di origine dalle condizioni ambientali, sociali e demografiche, l’evoluzione delle politiche di accoglienza e di integrazione degli immigrati, le dinamiche del mercato del lavoro in Italia e infine il possibile incremento dei flussi migratori verso l’estero da parte di cittadini italiani e stranieri residenti nel nostro territorio. L’opinione prevalente fra gli esperti è che le attuali disparità di reddito e di condizioni di vita fra l’Italia e i Paesi di origine e destinazione di questi flussi possano permanere a lungo, alimentando così una forte pressione migratoria in entrata e parzialmente anche in uscita.
Per effetto di questa incertezza lo studio Istat delinea attorno allo scenario mediano evidenziato in precedenza traiettorie migratorie diversificate, ipotizzando anche che l’Italia possa radicalmente mutare la sua attuale natura di Paese di accoglienza per tornare a essere, come è avvenuto in passato, un luogo da cui emigrare.  Lo studio contempla quindi l’ipotesi di un saldo migratorio con l’estero che diventa negativo, assegnando a questo scenario una probabilità empirica pari a circa il 9%. Naturalmente nello studio si evidenziano le relazioni che esistono fra il saldo migratorio con l’estero (alimentato in prevalenza da popolazione maschile e femminile giovane) e il saldo naturale della popolazione: nello scenario mediano l’effetto addizionale del saldo migratorio sulla dinamica di nascite e decessi comporta 2,5 milioni di residenti aggiuntivi nel corso dell’intero periodo di previsione. Questo contributo potrebbe migliorare in presenza di un saldo migratorio positivo più accentuato e peggiorare nel caso contrario di un’evoluzione negativa di questo equilibrio fra flussi in entrata e in uscita. Lo studio Istat si completa con l’analisi delle migrazioni interregionali, che vedono protagonisti cittadini italiani e stranieri già residenti nel nostro Paese. Lo scenario mediano prevede che questi flussi favoriranno ancora il Centro-Nord, ma potrebbero presentare una tendenza di leggero declino per effetto della progressiva riduzione nelle regioni meridionali e insulari delle generazioni di giovani e adulti che alimentano questi spostamenti.
Esaminiamo ora le conseguenze di queste tendenze sul fenomeno della longevità, che è al centro di questo contributo e dell’intero arco di riflessioni sviluppate nella pubblicazione. L’età media della popolazione dovrebbe passare nello scenario mediano da 44,7 a oltre 50 anni nel 2065. In tutte le ipotesi delineate nello studio Istat questo parametro aumenta e si conclude quindi che il processo di invecchiamento è da ritenersi certo e intenso. Una parte di questa dinamica è spiegata dal transito delle corti del baby-boom (i nati nel periodo 1961-1975) dalla tarda età attiva all’età senile. Il picco di invecchiamento si manifesterà fra il 2045 e il 2050, quando si dovrebbe raggiungere una quota di persone in età superiore a 64 anni vicina al 34%. L’incidenza della popolazione anziana dovrebbe quindi aumentare dall’attuale 22%  al 34%  e  le persone con  più di 84  anni dovrebbe vedere aumentare la loro quota dal 3,3% della popolazione totale nel 2016 al 6,2% nel 2045 e al 9,3% nel 2065. Entro i prossimi trent’anni la condizione di anziano potrebbe riguardare più di un italiano su tre e il numero assoluto di queste persone dovrebbe avvicinarsi a venti milioni, con un aumento di più di sei milioni rispetto a oggi. Le conseguenze sociali ed economiche di questo invecchiamento della popolazione e l’esigenza di delineare nuovi servizi per gli anziani sono al centro degli altri autorevoli, preziosi e generosi contributi pubblicati in  questo  volume. Rinvio  quindi  alla  lettura di  quei  testi  e  mi  limito  a descrivere brevemente i contenuti dei due capitoli successivi di questo intervento, che ha contribuito a creare l’esigenza di un ampio e qualificato tentativo di interpretazioni e proposte attorno al tema della sfida della longevità. Nel primo capitolo presento alcune elaborazioni sul futuro demografico dell’Emilia-Romagna nei prossimi cinquanta anni. Lo studio Istat analizzato in precedenza articola le previsioni anche a livello delle diverse regioni e consente di delineare le traiettorie della popolazione attese in Emilia- Romagna fino al 2065. Ho presentato questo lavoro per la prima volta in occasione dell’Assemblea generale delle Leghe del sindacato Spi Cgil dell’Emilia-Romagna che si è svolta a Cervia nel settembre 2017 e successivamente in altre occasioni di confronto pubblico su queste tematiche. Chi avrà il desiderio e la pazienza di proseguire nella lettura coglierà le analogie e le differenze fra le ipotesi di futuro demografico nazionale e regionale. Per quanto riguarda l’invecchiamento anticipo che la tendenza in Emilia-Romagna sarà simile a quella italiana: entro il 2045 anche nella nostra regione un cittadino su tre sarà anziano.
Nel secondo capitolo elaboro invece alcune riflessioni attorno a cinque domande che ruotano attorno al tema della sfida della longevità. Grazie alla generosità dei gruppi dirigenti e dei volontari di Auser Emilia-Romagna, delle organizzazioni Auser provinciali e dei tre sindacati metropolitani dei pensionati bolognesi (Spi Cgil, Fnp Cisl e Uil Pensionati) ho avuto l’occasione di confrontarmi nella primavera 2017 su questi temi con circa duecento persone nel corso di dieci riunioni. È stata per me un’opportunità di condivisione di pensiero bella e importante e credo che chi ha partecipato a quegli incontri possa testimoniare la verità di questa affermazione. Nei mesi successivi ho tentato di sintetizzare le decine di contributi emersi in quelle occasioni e spero di avere colto la ricchezza degli interventi. Ho  presentato per  la prima volta questa sintesi nel  mese di ottobre 2017  in occasione di un convegno promosso a Bologna nella Cappella Farnese di Palazzo d’Accursio dalla tre organizzazioni sindacali, con la partecipazione del Sindaco di Bologna, di altri amministratori locali, di esponenti sindacali e di parlamentari. Anche in questo caso ho avuto l’occasione di condividere queste riflessioni in altri incontri pubblici. L’elemento di novità di questo contributo è a mio avviso nel tentativo di incrociare nella riflessione la dinamica dell’invecchiamento con alcune tendenze che giudico rilevanti:
– la forte modifica delle reti familiari, con particolare riferimento alla presenza di figli e nipoti nella vita quotidiana delle persone anziane;
– l’’inadeguatezza sotto molti aspetti dell’attuale patrimonio abitativo e più in generale dei contesti territoriali di prossimità nei quali si svolge in prevalenza l’esistenza degli anziani;
– le crescenti e preoccupanti disuguaglianze sociali ed economiche fra individui e soprattutto fra generazioni;
– l’incremento del rischio di parziale o totale non autosufficienza nella popolazione più longeva;
– il ruolo pervasivo, che inevitabilmente comporta opportunità e rischi, delle tecnologie digitali nelle vite di tutti noi (e quindi anche delle persone anziane e dei loro familiari).

CAPITOLO 1.   IL FUTURO DEMOGRAFICO DELL’EMILIA-ROMAGNA

1.1   LE PREVISIONI ISTAT DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE SINO AL 2066
Le previsioni demografiche regionali dell’ISTAT pubblicate nell’aprile 2017 sono realizzate con l’obiettivo di rappresentare il possibile andamento futuro della popolazione, sia in termini di numerosità totale sia in termini di struttura per età e sesso.
Le previsioni coprono il periodo compreso fra il 1° gennaio 2016 e il 1° gennaio 2066. Lo scopo principale è quello di fornire indicazioni sul futuro sviluppo della popolazione nel breve termine (2026), nel medio (2046) e nel lungo termine (2066). I risultati diventano più incerti quanto più ci si allontana dall’anno base (2016).
Le informazioni prodotte rappresentano uno strumento importante a supporto delle decisioni nelle politiche di natura economica e sociale, come quelle relative ai sistemi pensionistici, sanitari, scolastici e abitativi.
Le previsioni verranno aggiornate periodicamente da ISTAT per rivedere le ipotesi relative alla fecondità, alla sopravvivenza e ai movimenti migratori interni e internazionali. Bisogna inoltre evidenziare l’importante novità metodologica del passaggio da un approccio deterministico a uno di tipo probabilistico: in questo modo è possibile valutare l’incertezza associata ai valori previsti per le diverse variabili.

1.2 QUALI SONO LE TENDENZE FONDAMENTALI PREVISTE PER L’EMILIA-ROMAGNA Vediamo ora in modo sintetico quali sono le tendenze fondamentali di evoluzione demografica previste per l’Emilia-Romagna nello studio ISTAT facendo riferimento allo scenario mediano, che rappresenta una previsione da adottare quale riferimento più probabile per valutare le molteplici conseguenze del cambiamento della popolazione.

A) Nella nostra regione la popolazione dovrebbe crescere lievemente fino al 2046 e poi iniziare a calare. Sulla base dello scenario di previsione mediano le persone residenti in Emilia-Romagna dovrebbero salire da 4.448.000 abitanti al 1° gennaio 2016 a 4.515.000 al 1° gennaio 2026. L’incremento dovrebbe proseguire fino al 1° gennaio 2046 (4.573.000 abitanti); successivamente la popolazione inizierebbe a calare raggiungendo 4.362.000 abitanti al 1° gennaio 2066. In Italia nello stesso periodo la popolazione residente dovrebbe scendere da 60,7 milioni di abitanti nel 2016 fino a 53,7 milioni nel 2066, registrando un calo più accentuato rispetto all’Emilia-Romagna. La quota di persone che vivono nella nostra regione sul totale nazionale dovrebbe quindi salire lievemente dal 7,3% nel 2016 all’8,1% al 1° gennaio 2066.

B) Con elevata probabilità nella nostra regione in futuro le nascite non potranno compensare i decessi. Nel 2016 in Emilia-Romagna si sono registrati 34.760 nati e 48.641 morti, con un deficit naturale negativo di quasi 13.900 unità. Nel 2025 i nati dovrebbero essere 33.457 e i morti 51.456, con un saldo negativo di quasi 18.000 unità. Nel 2045 si dovrebbe registrare un numero di nati più alto (37.384), ma con ogni probabilità sotto la spinta del progressivo invecchiamento della popolazione aumenteranno anche i decessi (58.228) e il deficit naturale supererà le 20.800 unità. Nel 2065 infine il numero dei nati dovrebbe essere ancora superiore alle 37.000 unità e i decessi dovrebbero raggiungere quota 65.000, con un deficit naturale annuo di quasi 27.900 persone. Per tutto il periodo oggetto della previsione si registrerebbe un saldo naturale negativo e in continuo peggioramento: da sottolineare che questa tendenza ipotizza comunque nello scenario mediano un innalzamento progressivo del numero medio di figli per donna da 1,40 nel 2016 fino a 1,66 nel2065. Come segnala l’Istat, anche ipotizzando una fecondità in aumento l’evoluzione negativa prevista per la popolazione femminile in età feconda dovrebbe determinare un minore numero di nascite.

C) Le migrazioni interne favoriranno ancora il Centro-Nord e in particolare la nostra regione.  È questa una voce fondamentale del bilancio demografico, che redistribuisce la popolazione fra le diverse aree del paese. Attualmente a livello nazionale si registrano circa 330.000 spostamenti interregionali  e  si  prevede  che  si  possano  orientare  per  effetto  dell’invecchiamento  della popolazione a una tendenza di lieve ma costante declino, fino a raggiungere 260.000 trasferimenti annui entro il 2065. A beneficiare maggiormente dei flussi migratori interni risulterebbe soprattutto la ripartizione Nord-Est, alla quale appartiene la nostra regione. In Emilia-Romagna nel 2016 gli iscritti da altre regioni sono stati 35.191 e i cancellati 26.461: il saldo migratorio interno è quindi risultato positivo per 8.730 unità. Nelle ipotesi formulate da ISTAT tale saldo dovrebbe rimanere attivo per tutto il periodo della previsione, riducendosi però gradualmente (+7.240 unità nel 2025,+4.100 nel 2045 e +2.017 nel 2065).

D) Il saldo migratorio con l’estero nella nostra regione resterà positivo, ma sarà contraddistinto da grande incertezza. Nella futura dinamica demografica italiana un  contributo determinante sarà quello esercitato dalle migrazioni con l’estero. Bisogna ricordare che i flussi migratori con l’estero sono contrassegnati, assai più delle altre componenti demografiche, da una profonda incertezza riguardo al futuro. Le migrazioni internazionali sono infatti governate da una parte da normative suscettibili di modifiche, dall’altra da fattori socio-economici interni ed esterni di non facile previsione e interpretazione. Nello scenario mediano a livello nazionale si assume una quota annua di immigrati dall’estero che si mantiene a lungo poco sotto il livello delle 300.000 unità, per poi gradualmente scendere fino al livello di 270.000 persone entro il 2066. Secondo tale ipotesi si prevede che nell’intervallo temporale 2016-2065 immigrino complessivamente in Italia 14,4 milioni d’individui. Gli emigrati per l’estero dovrebbero registrare una prima fase di lieve diminuzione (da157.000 a 132.000 fra il 2016 e il 2035) e poi presentare un’evoluzione stabile dal 2035 in avanti, intorno a un valore medio di 130.000 unità annue. In totale le persone che emigrerebbero dall’Italia verso  l’estero  nel  periodo  2016-2065  sarebbero  6,7  milioni.  Il  saldo  migratorio  con  l’estero dovrebbe rimanere ampiamente positivo, in particolare modo nelle aree del Centro-Nord. In Emilia- Romagna nel 2016 si sono registrati 27.057 iscritti dall’estero e 12.027 cancellati per l’estero, con un saldo positivo di oltre 15.000 persone. Nello scenario mediano tale saldo dovrebbe rimanere su questi valori nel breve e medio periodo (+15.620 unità nel 2025 e +15.016 nel 2045) e poi ridursi progressivamente nel lungo periodo (fino a raggiungere un valore di +13.301 nel 2065).

E) L’età media della popolazione residente in Emilia-Romagna salirà ancora sensibilmente. Le previsioni demografiche forniscono un’immagine di come la struttura per età della popolazione potrebbe cambiare in futuro. Tali cambiamenti restituiscono a distanza di anni l’impatto dei fattori demografici di invecchiamento determinati dall’azione delle nascite, dei decessi e dei movimenti migratori. A livello nazionale già nel 2016 la struttura evidenziata dalla piramide delle età risulta sbilanciata, con un’età media che si avvicina ai 45 anni e una quota di persone in età superiore a 64 anni superiore al 22%. Nel breve e medio periodo questo processo di sbilanciamento della struttura per  età  dovrebbe  proseguire:  il  periodo  più  critico  sotto  questo  profilo  dovrebbe  essere probabilmente quello a ridosso del 2046, con un’età media della popolazione che nello scenario mediano salirà fino a 49,7 anni e una percentuale di persone anziane pari al 33,8%. Nel lungo termine la piramide della popolazione dovrebbe recuperare un migliore equilibrio strutturale e l’età media, dopo avere raggiunto un valore massimo di 50,3 anni nel 2057, secondo lo scenario mediano tenderebbe a riabbassarsi fino a 50,1 anni nel 2066 (con un’incidenza di anziani del 33,1%).  In Emilia-Romagna nel 2016 l’età media è superiore al valore nazionale (45,7 anni) e dovrebbe salire ulteriormente a 47,2 nel 2026 e a 49,4 nel 2046, raggiungendo il valore massimo di 49,8 anni nel2051 e mantenendolo fino al 2058. Poi dovrebbe iniziare un lieve calo fino a raggiungere 49,3 anni nel 2066.

F) Anche nella nostra regione si manifesterà con elevata probabilità un processo di invecchiamento della popolazione certo ed intenso. La trasformazione della struttura per età della popolazione comporterà un marcato effetto sui rapporti intergenerazionali che si manifesterà in modo diverso sul territorio. Il processo di invecchiamento dovrebbe essere particolarmente rapido nel Mezzogiorno, che risulterebbe nel 2066 l’area del paese con la più elevata età media (51,6 anni). A livello nazionale la popolazione in età superiore ai 64 anni dovrebbe salire da 13,3 milioni nel 2016 a 15,1 milioni nel 2026 e poi raggiungere i 19,7 milioni nel 2046. Successivamente dovrebbe iniziare un calo di questo gruppo di persone: nel 2066 nello scenario mediano si ipotizza un numero di anziani in Italia pari a 17,7 milioni. Vediamo ora come si manifesterà questo processo di invecchiamento nella nostra regione, che nel 2016 presenta una percentuale di anziani superiore a quella nazionale (23,6%). Nello scenario mediano questo indicatore dovrebbe raggiungere il valore di 25,6% nel2026, del 33,8% nel 2046 e poi scendere lievemente fino al 31,9% nel 2066. In sintesi per tutto il periodo compreso fra il 2040 e il 2060 un emiliano-romagnolo su tre sarà anziano. In termini assoluti le persone in età superiore ai 64 anni saliranno nella nostra regione da 1,050 milioni nel 2016 a 1,156 milioni nel 2026 e a 1,546 milioni nel 2046, rientrando infine nel 2066 su un valore di 1,391 milioni. All’interno di questo processo di invecchiamento da segnalare l’accentuata crescita assoluta e relativa della popolazione in età più avanzata (85 anni e oltre). Nella nostra regione nel 2016 questi cittadini rappresentavano il 3,9% della popolazione totale. Questa incidenza salirà al 4,6% nel 2026, al 6,3% nel 2046 e balzerà fino al 9,4% nel 2062, scendendo poi lievemente al 9,1% nel 2066. In termini assoluti gli anziani con 85 anni e più in Emilia-Romagna dovrebbero aumentare da 173.000 nel 2016 a 212.000 nel 2026; poi la crescita si accentuerebbe sino a 288.000 unità nel 2046 e 397.000 nel 2066.  Queste tendenze dovrebbero essere determinate da un ulteriore aumento della speranza di vita alla nascita, che nella nostra regione è ipotizzata in aumento per i maschi da 81,5 anni nel 2016 a 86,6 nel 2065 e per le donne da 85,5 anni nel 2016 a 90,2 nel 2065. Nei prossimi cinquant’anni la vita media dovrebbe allungarsi ancora di circa cinque anni per tutta la popolazione: se si verificherà questa ipotesi ogni decennio conquisteremo ancora un anno di vita. L’invecchiamento della popolazione e la crescita esponenziale delle persone più longeve saranno con ogni probabilità due caratteristiche fondamentali del futuro demografico dell’Emilia-Romagna. Tutte le scelte e i comportamenti dei cittadini, delle famiglie, delle istituzioni nazionali e locali, delle forze politiche, sociali ed economiche dovranno confrontarsi con questa inedita, bella e impegnativa sfida della longevità. Nella prima metà del ventunesimo secolo vivere a lungo in buona salute sarà nella nostra regione la più importante conquista sociale, che vedrà protagonisti non piccoli gruppi privilegiati ma quote prevalenti della popolazione. Tutto l’assetto del sistema sociale ed economico dovrà confrontarsi con questa sfida. Molti servizi esistenti pubblici e privati saranno fortemente sollecitati a cambiare profondamente. E dovremo tutti assieme avere la capacità di inventare molti servizi che oggi non ci sono, se non in forme marginali. Il patrimonio abitativo esistente   dovrà   essere   profondamente   trasformato,   in   particolare   sotto   i   decisivi   profili dell’accessibilità, della sicurezza e dell’efficienza energetica. Questo grande impegno innovativo, che può creare a livello regionale decine di migliaia di opportunità di lavoro e diventare l’elemento centrale di  un  nuovo  patto generazionale, dovrà essere ispirato dall’obiettivo fondamentale di garantire la massima dignità di esistenza anche in questa fase avanzata della vita al maggior numero possibile di donne e di uomini emiliani e romagnoli.

CAPITOLO 2.  LA SFIDA DELLA LONGEVITÀ: ALCUNE RIFLESSIONI A PARTIRE DA CINQUE DOMANDE

Gli scenari demografici di breve, medio e lungo termine relativi all’Emilia-Romagna  individuano con chiarezza il processo di invecchiamento della popolazione come una delle tendenze fondamentali della prima metà del ventunesimo secolo.   Crescerà in modo accentuato il numero assoluto delle persone anziane (e in particolar modo quello degli individui in età superiore agli 84 anni) e l’incidenza percentuale di questo gruppo sul totale della popolazione raggiungerà valori superiori al 34%. Entro il 2040 nella nostra regione una persona su tre sarà anziana. La speranza di vita media potrebbe progressivamente avvicinarsi a 90 anni per le donne e a 86 anni per gli uomini. Un  approfondimento  di  queste  tendenze  è  presentato  nel  documento  “Il  futuro  demografico dell’Emilia-Romagna”, che commenta i dati delle previsioni regionali elaborate da Istat fino a 2066. Tale documento è presente nel Capitolo 1 di questo contributo, a cui si rinvia per i dati analitici del processo di invecchiamento.
In questa sede si vuole invece compiere una riflessione sulle conseguenze sociali ed economiche di quella che si può definire la bella, inedita e impegnativa sfida della longevità. Le considerazioni presentate in questo capitolo sono il risultato di un ciclo di tre incontri organizzati la scorsa primavera da Auser Regionale a Parma, Imola e Bertinoro. Nello stesso periodo sette riunioni su questo tema si sono svolte in diversi luoghi della città metropolitana di Bologna con dirigenti e volontari dei sindacati pensionati CGIL, CISL e UIL.
Tutti gli incontri si sono aperti con una breve introduzione sulle principali tendenze demografiche dei diversi territori e si sono poi focalizzati sul tentativo di confrontarsi sulle conseguenze sociali ed economiche della sfida della longevità. Le riflessioni sono state stimolate da cinque domande poste ai partecipanti e più di 150 persone hanno espresso il loro pensiero, portando sempre contributi appassionati e preziosi. Questa relazione tenta di restituire i principali elementi scaturiti da questo dibattito, che è stato un’importante occasione di confronto. Tutte le domande chiedevano ai partecipanti di svolgere il loro ragionamento guardando a un orizzonte temporale di medio periodo, immaginando che cosa potrebbe accadere nelle loro vite fra il 2017 e il 2032. Vediamo analiticamente i pensieri stimolati dalle cinque domande.

2.1 PRIMA DOMANDA: Provate a immaginare quali saranno nel 2032 le reti familiari e amicali che vi accompagneranno nella vostra vita quotidiana. Quali saranno le principali differenze rispetto alla situazione della generazione precedente e alla situazione attuale?

Questa domanda era motivata da due fenomeni, che stanno assumendo un crescente rilievo e che sono stati brevemente illustrati per spiegare il contesto demografico e sociale che aveva spinto gli organizzatori dell’incontro a proporre questa domanda.
Il primo fenomeno è la quota crescente e rilevante di donne e uomini di età superiore a 50 anni che nel corso della loro esistenza non hanno avuto figli. Nella realtà regionale si assiste ormai da molto tempo a livelli di fecondità delle coppie italiane estremamente contenuti. La conseguenza collettiva di questo comportamento è un numero di nascite molto basso e sistematicamente inferiore a quello dei decessi, con un saldo naturale della popolazione pesantemente negativo. A livello individuale questo fenomeno ha determinato la realtà di una quota crescente di individui e di coppie che hanno terminato la loro vita riproduttiva senza avere figli: a livello regionale si può stimare che almeno una persona su quattro in età compresa fra i 50 e 64 anni si trovi in questa situazione.  Da segnalare inoltre che fra le altre coppie è molto alta la percentuale di quelle che hanno scelto di generare un unico figlio; sull’altro lato della distribuzione è sceso in modo considerevole il numero dei nuclei con tre o più figli.
Il secondo fenomeno analizzato è invece quello della più elevata probabilità rispetto al passato che i figli si trasferiscano in luoghi distanti da quelli in cui vivono i genitori per esigenze legate ai percorsi di studio e soprattutto di lavoro. Le attuali tendenze sociali ed economiche comportano per le giovani generazioni con maggiore frequenza rispetto al periodo precedente di cercare occasioni di formazione e lavoro fuori dal territorio regionale e in alcuni casi anche all’estero. L’incertezza e la precarietà nei rapporti di lavoro sono aumentate non solo nella dimensione temporale (contratti a tempo determinato) ma anche in quella spaziale (con prospettive di mobilità più accentuate anche per chi ha già trovato un lavoro).
Molti degli intervenuti nel dibattito hanno testimoniato l’evidenza attuale di questi due fenomeni nella  loro  realtà  ed  hanno  convenuto  sulla  probabilità che  nei  prossimi  quindici  anni  queste tendenze possano accentuarsi.
Per chi si troverà ad affrontare la sfida della longevità nei prossimi decenni le conseguenze sociali di questi due fenomeni sono evidenti: molte persone e molte coppie vivranno questa fase della loro vita senza la presenza quotidiana di una figlia o di un figlio nella loro rete di relazioni. Quest’ assenza  si  associa  inoltre  a  un  più  generale processo  di  restringimento delle  tradizionali reti familiari. Più articolato è invece il giudizio sull’evoluzione e il ruolo delle reti amicali: per alcuni partecipanti (soprattutto donne) queste reti possono avere un ruolo importante nella futura vita di relazione, anche per colmare il vuoto delle reti parentali; per altri invece il giudizio è più scettico, anche in considerazione delle difficoltà di salute e di relazione che possono coinvolgere congiuntamente queste persone in età molto avanzate.
Da un punto di vista collettivo queste evidenze suggeriscono una considerazione: il tradizionale modello di assistenza agli anziani, spesso centrato su un ruolo importante delle reti parentali e in particolare delle  figlie o  dei  figli,  rischia di  essere non  più  proponibile ed  efficace in  molte situazioni di anziani che vivono soli o di coppie di persone anziane. Questa situazione si pone già oggi e con ogni probabilità riguarderà in futuro un numero crescente d’individui. Appare quindi urgente individuare modelli diffusi di assistenza che si confrontino con quest’assenza sistematica dei figli e il restringimento delle reti familiari.

2.2 SECONDA DOMANDA: Provate a immaginare di vivere nel 2032 nell’abitazione che occupate oggi. Quali saranno i punti di forza di questa soluzione abitativa? E quali i fattori critici? E che cosa si può fare nei prossimi quindici anni per migliorare l’attuale situazione?

La condizione abitativa degli anziani nella nostra regione è fotografata con efficacia dai dati censuari. Il primo elemento è rappresentato da un’elevata quota di famiglie proprietarie dell’abitazione: negli anni della crisi questo fattore è stato sicuramente per molti nuclei anziani un’importante garanzia di tenuta della condizione sociale ed economica. Il secondo elemento è costituito da una superficie media abitativa a disposizione di ogni persona anziana molto ampia: gli appartamenti erano spesso abitati in precedenza da nuclei familiari di maggiore numerosità e poi l’uscita da casa dei figli e/o il decesso di un coniuge hanno ridotto il numero degli abitanti. Anche in quasi tutte le testimonianze degli intervenuti nel dibattito questi elementi sono stati confermati. In non pochi casi però questi elementi di forza (casa in proprietà e con una dimensione spesso molto ampia) si possono trasformare in punti di debolezza. La maggior parte di questi appartamenti sono stati costruiti in epoche non recenti e non erano pensati per rispondere alle esigenze di persone anziane con problemi di non autosufficienza negli spostamenti. Il dato più clamoroso ed evidente è quello dell’assenza di ascensore in quasi il 70% degli edifici con almeno quattro piani e nella quasi generalità dei palazzi di tre piani. Più in generale esiste un diffuso problema di barriere architettoniche, che impediscono spostamenti agevoli all’interno e all’esterno dell’abitazione. Il problema dell’accessibilità di questi appartamenti e degli spazi pubblici collocati nelle immediate vicinanze non può più essere sottovalutato se vogliamo affrontare con efficacia la sfida della longevità. Rendere le nostre città fruibili pienamente dalle persone anziane con difficoltà motorie e dalle persone disabili dovrebbe diventare la più grande opera pubblica da mettere in cantiere nella prima metà del ventunesimo secolo, assicurando un flusso di finanziamenti adeguato e costante per adeguare progressivamente tutti gli spazi e luoghi pubblici. Per quanto riguarda gli edifici privati (che rappresentano a livello regionale la quasi totalità del patrimonio abitativo) bisogna rimuovere gli ostacoli di ordine giuridico, tecnico ed economico che impediscono una messa a norma degli appartamenti sotto questo decisivo profilo. Bisogna incentivare in tutte le forme possibili una grande mobilitazione del risparmio privato delle famiglie in questa direzione, agevolando in particolare quelle con minori risorse reddituali e patrimoniali. Lasciare ai nostri figli abitazioni più accessibili, più sicure e più efficienti da un punto di vista energetico può essere un elemento centrale di un patto di solidarietà fra le generazioni, che potrebbe anche offrire con continuità molte opportunità di lavoro in un settore come quello dell’edilizia che è tradizionalmente ad alta intensità occupazionale. Contenere al massimo il consumo del suolo per nuove edificazioni è un obiettivo
assolutamente da condividere, che si deve però accompagnare a una grande riqualificazione del patrimonio abitativo esistente per adeguarlo al nuovo profilo demografico e sociale della popolazione. Bisogna inoltre studiare meccanismi che agevolino il trasferimento di proprietà da parte delle famiglie anziane che vogliono andare ad abitare in appartamenti più adeguati alle loro attuali esigenze. La scelta dell’assistenza domiciliare è l’opzione sulla quale scommettere, ma richiede di assicurare alle persone anziane la possibilità di vivere in alloggi che garantiscano al massimo le condizioni di benessere fisico e psichico.

2.3 TERZA DOMANDA: Provate a immaginare quale sarà nel 2032 la vostra condizione economica. Pensate che sarà adeguata alle esigenze della vostra vita? E se avete figli o nipoti, quale sarà la loro situazione economica? È più probabile che voi dobbiate sostenere i loro bilanci familiari oppure che siano loro ad aiutare economicamente voi?

Con questa terza domanda si è incrociata una delle grandi questioni sociali del periodo più recente, che caratterizza anche la nostra regione: le condizioni di povertà assoluta e relativa si sono ridotte fra le famiglie anziane, ma sono purtroppo aumentate sensibilmente nella fascia giovanile della popolazione e soprattutto nelle famiglie con minori. Le indagini condotte su questo fenomeno da Eurostat, Istat e da altri istituti di ricerca concordano tutte nel sottolineare questo mutamento di scenario e la gravità in Italia del fenomeno della povertà minorile. Molti dei partecipanti al dibattito sono intervenuti su questo punto e le loro riflessioni hanno confermato con esempi di realtà quotidiana le conclusioni della statistica ufficiale. Per effetto di queste dinamiche sono numerose le famiglie anziane che sono costrette a sostenere economicamente i nuclei dei figli e/o dei nipoti. La preoccupazione e anche lo sconcerto per questa situazione sono emersi con forza in quasi tutte le testimonianze. La precarietà sociale ed economica attuale della condizione giovanile induce anche molti anziani con figli a non avere aspettative di ricevere in età avanzata un aiuto adeguato dalla rete  familiare. Arrestare e  ribaltare questa tendenza è  condizione decisiva per  la  tenuta delle relazioni    sociali e per la continuità del patto generazionale. Ogni scelta di politica economica e sociale deve assumere come obiettivo principale la lotta alla disoccupazione giovanile e il contrasto ai fenomeni di emarginazione sociale ed economica delle nuove generazioni. Solo in questo modo si potrà assicurare anche una reale sostenibilità di medio e lungo termine del sistema previdenziale, che con il passaggio al sistema contributivo non può prescindere da uno scambio equilibrato e giusto fra le diverse generazioni. Tutte le testimonianze raccolte hanno evidenziato che per gli anziani un fattore fondamentale di serenità e di fiducia nel futuro è impedire che i propri figli e nipoti siano costretti a una vita peggiore di quella delle generazioni precedenti.

2.4 QUARTA DOMANDA: Provate a immaginare quale sarà nel 2032 la vostra condizione di salute, con particolare riferimento al rischio di situazioni di non autosufficienza. Ritenete adeguate le soluzioni oggi disponibili per aiutare persone che si trovano in questa condizione? E che cosa si potrebbe fare per migliorare i servizi esistenti?

Con questa quarta domanda si è affrontato il problema che provoca in tutte le persone anziane e anche negli intervenuti agli incontri le maggiori paure: cadere per effetto del deterioramento delle condizioni di salute in una situazione di non autosufficienza. In una società che sarà caratterizzata da un numero di persone longeve sempre più ampio non è possibile ignorare la forte probabilità di un aumento marcato di questi casi. La quasi generalità degli intervenuti nel dibattito ha riconosciuto tale rischio e ha evidenziato la non adeguatezza delle soluzioni oggi disponibili per affrontare queste situazioni. Quando l’aggravamento delle condizioni di salute fisica e/o psichica impedisce di continuare a vivere nella propria abitazione le risposte possibili sono ancora troppo limitate e soprattutto con costi economici elevati, non coerenti con le disponibilità della larga maggioranza delle famiglie. E’ emersa anche una forte preoccupazione per il proliferare di soluzioni che non sempre offrono i necessari requisiti di qualità dell’intervento. E’ questo forse il problema più acquisire. Vivere in una società dove la speranza di vita media si può avvicinare a 86 anni per gli uomini e 90 anni per le donne è sicuramente una grande fortuna, che condividiamo con poche altre popolazioni al mondo. Non possiamo però ignorare che questo significa anche dovere affrontare probabilmente un numero più elevato di situazioni di grave non autosufficienza fisica e psichica. E’ necessario che questa consapevolezza si diffonda nel dibattito pubblico e anche nelle riflessioni private, che condizionano le strategie di allocazione delle risorse. Abbiamo imparato nel tempo a proteggerci con efficacia da molti rischi, ma quello della non autosufficienza non riusciamo ancora a pensarlo e affrontarlo adeguatamente

2.5 QUINTA DOMANDA: L’innovazione tecnologica può dare un contributo importante per affrontare con successo la sfida della longevità. Quale rapporto avete oggi con la società digitale? E quali sono le ulteriori scoperte e innovazioni che potrebbe rendere nel 2032 la vostra vita migliore? E quale aiuto vi possono dare le associazioni e i vostri parenti e amici per affrontare assieme questo cambiamento tecnologico?

È questa la domanda che ha visto la più ampia divaricazione di esperienze e di opinioni fra i partecipanti. Molti (forse la maggioranza) hanno testimoniato un rapporto difficile con la società digitale e hanno manifestato condivisibili preoccupazioni sul rischio che l’avanzare di queste tecnologie comporta quando non si affianca ma sostituisce i rapporti personali diretti. Altri hanno invece evidenziato una buona capacità di utilizzo di queste tecnologie e una ragionevole fiducia sul loro contributo per risolvere alcuni dei problemi della condizione anziana. Quasi tutti hanno manifestato l’esigenza di promuovere azioni di alfabetizzazione digitale, che potrebbero essere un altro elemento di un rinnovato patto fra generazioni all’interno e fuori dalle reti familiari. Nella mia personale consapevolezza su questa tematica si è rafforzata la convinzione di quello che definisco un paradosso tecnologico: le soluzioni più avanzate che oggi si sperimentano nei laboratori delle grandi imprese della conoscenza e della tecnologia potrebbero apportare i maggiori benefici proprio alla popolazione anziana, che è inevitabilmente quella meno in grado di utilizzarle direttamente. Per chiarire la natura di questo paradosso porto un solo esempio, che riguarda la città metropolitana di Bologna ma che sicuramente si può estendere ad altre realtà regionali. Nel territorio metropolitano la popolazione anziana crescerà sensibilmente e per effetto del processo di dispersione insediativa avvenuto negli ultimi decenni aumenterà soprattutto in alcuni comuni metropolitani lontani da Bologna. Una delle preoccupazioni manifestate da molti intervenuti nel dibattito è stata giustamente quella di una drastica limitazione della propria autonomia, legata a un mancato rinnovo della patente di guida in età avanzata per ragioni di salute. Ecco allora che l’invenzione dell’auto che si guida da sola potrebbe avere come principale beneficiario soprattutto le persone anziane.Questo contributo ha tentato di trasmettere alcune riflessioni che sono maturate nel corso degli incontri in precedenza richiamati. Naturalmente le opinioni espresse impegnano solo me stesso e sono frutto di alcune convinzioni e ipotesi di ricerca, che ho potuto arricchire nel confronto con le donne e gli uomini che hanno partecipato a questo percorso. Parlare assieme di questi problemi è stata un’occasione preziosa; in alcuni momenti ha suscitato in me e nei partecipanti anche inquietudini e paure che è bene affrontare collettivamente.

2.6 ULTERIORI CINQUE DOMANDE

Per non perdere l’abitudine pongo ulteriori cinque domande:
1)  Nel contesto di modifica delle reti familiari descritto in precedenza quali saranno in futuro le condizioni per garantire un adeguato modello di assistenza a domicilio? Chi sostituirà ad esempio i figli nei compiti e nelle relazioni che oggi intrattengono con i loro genitori anziani e con le assistenti familiari?

2) Pensiamo di essere in grado nella realtà regionale di promuovere e favorire un impegno dei proprietari privati e pubblici per portare la percentuale di fabbricati di almeno 4 piani dotati di ascensore dal 30% del 2011 al 50% nel 2031?

3) Oggi le persone anziane detengono una quota significativa dei redditi e soprattutto dei patrimoni complessivi. Nei prossimi decenni questa quota aumenterà, in parallelo alla crescita delle persone anziane. È probabile che almeno il 35% della domanda interna di beni e servizi provenga da questa popolazione. Quanti saranno i posti di lavoro collegati a queste esigenze? E quali azioni possiamo mettere in campo per rendere i giovani consapevoli di queste opportunità lavorative e formarli adeguatamente?

4)  L’obiettivo fondamentale è consentire all’anziano di rimanere il più a lungo possibile nella propria abitazione, riqualificata per rispondere alle nuove esigenze. Ma quali sono i modelli alternativi all’assistenza a domicilio che pensiamo di potere aggiungere alle soluzioni oggi esistenti, non sempre adeguate?

5) Per garantire a medio termine la coesione sociale un nuovo patto generazionale è indispensabile Oltre i confini del welfare familiare, inevitabilmente selettivi, quale può essere il ruolo delle persone anziane e delle loro organizzazioni associative e sindacali per ideare e realizzare questo patto?

RINGRAZIAMENTI
Ogni lavoro di elaborazione e riflessione è inevitabilmente un lavoro collettivo, ma in questo caso l’affermazione è più giustificata che in altri contesti.Voglio quindi ringraziare in modo particolare il gruppo dirigente di Auser regionale per la decisione di realizzare questa pubblicazione e per le numerose occasioni di incontro che mi sono state offerte nel corso del 2017 e in questi ultimi mesi. La mia gratitudine si estende ai dirigenti e volontari delle associazioni Auser provinciali, che ho avuto occasione di conoscere in questo percorso. La loro generosità e intelligenza sono stati motivo di grande conforto, in un periodo non privo di tendenze sociali a volte preoccupanti. Sono particolarmente orgoglioso di avere potuto contribuire alla definizione e alla promozione della campagna Auser “L’ascensore è libertà”, che rappresenta un bell’esempio di come si possano promuovere iniziative di mobilitazione e riflessione per migliorare concretamente la vita delle persone con una particolare attenzione a quelle più deboli.
Un  importante contributo in  questo percorso deve essere attribuito ai  gruppi dirigenti dei  tre sindacati metropolitani dei pensionati bolognesi, che ho ricordato in precedenza. Senza di loro il percorso di confronto non sarebbe stato possibile e negli incontri da loro promossi ho potuto apprezzare ulteriormente l’impegno e la capacità di azione e di pensiero di tante e tanti attivisti. Se la condizione anziana nella nostra realtà presenta importanti evoluzioni positive rispetto al passato sicuramente lo dobbiamo anche alla presenza e all’azione quotidiana di queste importanti organizzazioni collettive.
Ringrazio naturalmente anche tutti gli amministratori locali, i parlamentari, i rappresentanti di organizzazioni sociali ed economiche, le cittadine e i cittadini che ha avuto occasione di incontrare in questi momenti di riflessione e che hanno sempre portato contributi interessanti e pensieri innovativi.
Mi sia consentito infine di esprimere la mia gratitudine alle persone con cui ho lavorato per molti anni nel Comune di Bologna e in particolare alle colleghe e ai colleghi dell’Area Programmazione, controlli e statistica che ho avuto l’onore e l’onere di dirigere per un periodo lungo e decisivo della mia vita personale e professionale. Se questo contributo presenta un valore di riflessione e conoscenza è dovuto sicuramente a quella esperienza, che mi ha permesso di verificare e maturare la convinzione che in una società democratica la forma di conoscenza sui fenomeni collettivi promossa e realizzata dalle scienze statistiche deve avere un ruolo, assieme a tante altre manifestazioni di intelligenza rivolte al bene comune. Desidero infine ricordare che molti di questi miei pensieri e convinzioni sono emersi grazie a un confronto quotidiano con Franco Chiarini,collega e amico fraterno, che attualmente dirige con dedizione e grande capacità professionale il Servizio Statistica del Comune di Bologna.

BIBLIOGRAFIA
Per approfondire il tema dell’evoluzione demografica, nel quale si colloca la sfida della longevità, si indicano alcune letture:
Bauman Z. (2016), Stranieri alle porte, Bari, Laterza.
Calzolaio V. e Pievani T. (2016), Libertà di migrare, Torino, Einaudi. Curi U. (2010), Straniero, Milano, Raffaello Cortina Editore.
Livi Bacci M. (2015), Il Pianeta stretto, Bologna, Il Mulino.
Rosina A. e Sorgi S. (2016), Il futuro che (non) c’è, Milano, Università Bocconi Editore.
Per approfondire l’analisi dei dati sulle trasformazioni della popolazione in ambito nazionale e regionale si rinvia ai siti dell’Istat e della Regione Emilia-Romagna. Relativamente alla città metropolitana di Bologna molte informazioni e studi sono presenti nel sito “I numeri di Bologna metropolitana”.