Bildung: quando la formazione è un principio fondativo

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Sappiamo bene che nel nostro Paese non mancano interessanti esperienze di insegnamento della ligua italiana ai cittadini stranieri. Si tratta però, in moltissimi casi, di percorsi saltuari,  promossi soprattutto dal volontariato o da operatori particolarmente volonterosi, spesso in orari serali e in luoghi improvvisati.
Ma anche nel resto d’Europa funziona così? Come sono questi percorsi formativi in Germania, da molti considerata la “terra promessa” dei migranti e dei cervelli in fuga? Ce lo racconta  Franco Di Giangirolamo, ex presidente di Auser Emilia Romagna, in un articolo dedicato alla “formazione alla tedesca”, che inaugura la nuova rubrica del nostro sito dedicata alle esperienze dei soci Auser che vivono all’estero.

Non ce la possiamo fare.
Anche se avessimo il talento e la modestia di chi sa copiare, non ce la faremmo. Ci sono dei “fondamentali”, che regolano il nostro pensiero e la nostra vita che ce lo impedirebbero e lo schizzo di vita che tratteggio è solo un modesto, seppure importante,  argomento che mi convince ad essere d’accordo con coloro che pensano che le normative europee debbono essere pensate per una applicazione a “geometria variabile” o, se volete “appropriata”  e non “sul modello nordeuropeo” altrimenti perdono di efficacia quando non sono controproducenti.
Mia moglie si trasferisce per motivi di lavoro a Berlin e io la seguo. Essendo stati per oltre sei anni  tra gli animatori di un’esperienza di volontariato finalizzato all’insegnamento della lingua italiana agli immigrati, la nostra partenza implica la fine di quella esperienza che aveva coinvolto moltissimi insegnanti volontarie/i e centinaia di immigrati, senza alcun contributo pubblico e con il solo e decisivo sostegno della Cgil e dell’Auser di Ferrara, della Coop Adriatica e di qualche istituzione scolastica. Migliaia di ore di lavoro gratuito, tanta passione, qualche innovazione, molte belle relazioni umane per affermare il diritto alla integrazione che la UE riconosce con tante di quelle norme e chiacchiere, che ci vuole una vita a leggerle, che finanzia con tanti quattrini e con discutibili controlli e che lo  Stato italiano e le sue articolazioni traducono in corsi di 50 ore, del tutto insufficienti a rispondere alla domanda degli immigrati, organizzati con logiche burocratiche spaventose (la domanda si fa in aprile, il corso si avvia a novembre se ci sono i finanziamenti, per es.) con personale  scarsamente preparato anche se molto volenteroso, in orari serali a colpi di un’ora e mezza. Per discutere della efficacia del nostro sistema pubblico in materia non occorrono troppi questionari, basta un’occhiata e si capisce subito che non è una cosa seria e che quel poco di buono che si riesce a fare è frutto della ostinazione, capacità e impegno di una minoranza di operatori che non si rassegnano all’andazzo e che soffrono a veder buttare dalla finestra denaro e valori. Sicché arrivano, come sempre e da decenni, le truppe cammellate del volontariato, a volte solo col bagaglio delle più diverse motivazioni (tra chi vuole andare in paradiso con qualche ticket in più fino a chi pensa al potenziale rivoluzionario del nuovo proletariato extracomunitario), a volte anche con qualche pretesa di professionalità, quasi sempre senza soldi, con l’eccezione delle cooperative sociali che sono purtuttavia un importante  bastone delle istituzioni zoppicanti, anche se di recente ridotti, purtroppo, a soggetti dei quali si discute malvolentieri.
Fine colpevole, la nostra, perché non siamo stati in grado di garantire la continuità di una esperienza e di una attività che era ormai parte integrante della comunità centese. Fine non del tutto inutile perché serve a riflettere sul tema della educazione degli adulti (di cui l’integrazione degli immigrati è un aspetto) e del salto di qualità che deve fare nella nostra testa, prima ancora che nelle istituzioni, a partire da quella regionale che aveva azzerato perfino i pochi stanziamenti dei bilanci precedenti e che mi auguro abbia rivisto questa posizione. Di piattaforme serie, sia come Auser che come Spi e Cgil, che come Università popolari, ne abbiamo a bizzeffe, ma la forza per portarle avanti non è ancora sufficiente e non riusciamo a riprodurre neppure le belle ma rare esperienze di programmazione integrata realizzate in alcuni distretti emiliano-romagnoli.

Ora l’emigrante è il sottoscritto che  si trova alle prese col problema dell’integrazione linguistica, acuito dall’età avanzata che, diciamolo, non è mai stato un vantaggio per nessuno. Sceso dall’aereo un giovedì sera, si reca il venerdì mattina successivo presso la Volkshochschule di Treptow (VHS, una delle 12 operanti a Berlin), gli viene sottoposto un test di ingresso, viene assegnato ad un certo livello e gli si dice di presentarsi il lunedì mattina. Il vecchietto trasecola e si dà un pizzicotto per vedere se è ancora a letto. Il lunedì si presenta non in un sottoscala o in una sala rimediata in una parrocchia o in un ufficio sindacale trasformato in aula, bensì in un edificio enorme di 4 piani, sobrio ed essenziale, quasi spartano, ma pulito ed organizzato con tutto il necessario, dove gli viene consegnato il programma di educazione degli adulti della VHS (centinaia e centinaia di corsi e di attività di ogni tipo e per tutte le classi sociali) e lo si ospita in una vera aula scolastica assieme ad altre 14 persone, molto più giovani, di diversissime nazionalità. Due insegnanti retribuite come da contratto e che fanno solo questo (non a completamento di orario), professionalizzate specificamente, ci seguiranno per 100 ore (5 ore al giorno per 4 giorni la settimana).  Il vecchietto sgancia 1,2 euro l’ora perché se lo può permettere, come altri corsisti, mentre chi è assistito dal Job center o è profugo o ha altri problemi non paga niente. Il giro completo per chi inizia da zero è di 600 ore (lo scrivo per esteso perché potrebbe non sembrare vero: seicento). Ogni 100 ore ti valutano e ti rilasciano un certificato. Se superi l’esame finale hai un titolo che è fondamentale per andare a lavorare oltre che per vivere meglio in terra straniera. Siccome se non superi i test ti fanno ripetere il corso che hai frequentato, quando presenti un foglio di carta con scritto cosa vali, il popolo tedesco e le sue istituzioni  hanno la tendenza a credere che sia vero. E vorrei vedere! Il corsista che fa assenze deve presentare il certificato medico o motivazioni molto credibili e possibilmente documentate, altrimenti non va avanti. Il corsista che fa il furbo e arriva all’orario della firma della presenza, lo fa una volta sola perché la seconda viene educatamente ma fermamente  mortificato davanti a tutti (da noi invece quando non ci sono presenze sufficienti per rendicontare e avere i quattrini relativi c’è la caccia alla firma di presenza su corsi scarsamente frequentati, sovente utili solo a chi li fa, come sappiamo tutti).
L’anziano emigrante, non ancora avvezzo alle coniugazioni e alle declinazioni  e, finora, abile solo nelle emergenze, ovvero a chiedere indicazioni sulle numerose, sobrie e pulite toilettes, viene folgorato da una scoperta: finalmente sa dove vanno a finire i soldi del FEI (fondo europeo per l’integrazione), per lo meno quelli assegnati alla Germania.
Ma allora, se l’ha compreso a prima vista il nonnetto, forse non c’è bisogno di corpose commissioni europee di monitoraggio sull’uso dei fondi , di esperti in contabilità nazionale ed internazionale, di castelli burocratici pieni di chiacchiere. Forse ci vorrebbe, alla base,  una semplice visita superficiale di tre persone prese dalla strada (magari di tre continenti diversi) alle due realtà che ho descritto, e spiegargli in venti minuti come funzionano ufficialmente e formalmente (anche senza far riferimento ai trucchi e alla monnezza sotto i tappeti) e relazionare ai parlamentari e commissari vari europei. Il vecchio non si stupirebbe dell’esito, perché i profughi e gli immigrati, che tra loro si parlano (non sembra vero!) non vogliono affatto rimanere in Italia mentre fanno di tutto per riuscire ad andare dai cattivi nord europei dove la prima cosa che apprendono è la serietà e la correttezza e non l’aum-aum.
Il nonnetto comprende che si è imbarcato in una cosa seria e frequenta le 500 ore che gli toccano, oltre le 60 chiamate OrientierungKurs, che altro non è se non la educazione civica dei nuovi arrivati in Germania.
Alla fine, si sarà interrogati e tutti staremo in ansia, come veri e propri scolaretti, perché sappiamo  fin dall`inizio che, come tutto il resto, si tratta di una cosa seria. Poi faremo l´esame finale che ci darà diritto alla certificazione del livello B1, che è il minimo per andare a lavorare. Mezza giornata di esame (parlato, scritto, ascolto); poi attesa di due mesi perché il controllo lo fanno a Francoforte e infine l’agognato esito con punteggio e Certificato.
Ma non finisce qui perché chi supera gli esami ha diritto al rimborso delle spese sostenute nella misura del 50%. Occorre fare una pratica burocratica (la burocrazia e`molto più complessa in Germania che in Italia ma è molto più efficiente) e attendere. Non molto in verità e un bel giorno vi arriva una lettera nella quale vi si comunica che l´accredito sul c/c è stato effettuato.

Il rapporto con la scuola è terminato, se non avete intenzione di apprendere ancora o non avete i soldi per pagare i livelli superiori.
Vi resta, oltre l’apprendimento della lingua, la coscienza che  “Bildung”  in Germania non è una parola come le altre, ma un principio fondativo del carattere di una nazione, che la parola integrazione, pur con le sue contraddizioni,  ha un significato molto più impegnativo per il governo tedesco, la sensazione concreta di aver ricevuto rispetto oltre che istruzione e di essere stati indotti naturalmente a rispettare tutta la istituzione che vi ha accompagnato in questo percorso, a partire dagli insegnanti.
Una bella esperienza, che vale la pena di raccontare e dalla quale c’è molto da imparare.
Ma, come si sa, noi siamo dei e non crediamo di dover cambiare perché riteniamo di essere perfetti così come siamo.

 Franco Di Giangirolamo

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