di Silvia Giannini, Università di Bologna

Gli economisti si interrogano da tempo e con interesse crescente sugli effetti dell’invecchiamento della popolazione, che procede a passi rapidi in tutto il modo, seppure con differenze significative tra i vari paesi.

Quali effetti economici si possono attendere da questa trasformazione epocale nella struttura della popolazione? Sicuramente molti e variegati, e tendenzialmente di segno negativo se non si affronteranno per tempo e adeguatamente le numerose sfide che essa comporta. Poiché queste sfide non sono solo economiche, ma hanno anche importanti riflessi sociali e politici, occorre un approccio multidisciplinare per analizzare e affrontare il problema nelle sue diverse sfaccettature. In Italia questo tema è particolarmente urgente, non solo per le dimensioni del fenomeno, ma anche perché la struttura economica, l’organizzazione del welfare state, lo stato delle finanze pubbliche sono più vulnerabili e meno resilienti agli effetti di questi cambiamenti epocali.

Nelle pagine che seguono, senza alcuna pretesa di esaustività, verranno richiamati i principali effetti economici attesi dall’invecchiamento della popolazione e le tipologie di politiche che sarebbero necessarie per rispondere alle numerose sfide poste dall’evoluzione demografica. Come vedremo, occorre sia prevenire il più possibile gli effetti negativi che si accompagnano all’aging, sia coglierne le opportunità. Queste ultime derivano dalla disponibilità di una vita attiva più lunga e più a lungo in buona salute, dall’insorgere di nuove capacità e bisogni che, se opportunamente valorizzati, possono anche contribuire a migliorare, piuttosto che peggiorare, il benessere economico e sociale di una comunità.

Effetti economici e sui bilanci pubblici

Una delle prime preoccupazioni degli economisti riguarda gli effetti macroeconomici e sulle finanze pubbliche del crescente invecchiamento della popolazione.

Gli effetti dipendono dall’entità del fenomeno e dalle sue caratteristiche: ad esempio, l’invecchiamento è dovuto ad un aumento della speranza di vita, ad una riduzione del tasso di natalità, o ad entrambi, come accade anche nel nostro Paese? La sua evoluzione nel tempo è fondamentale, ma non sempre facile da determinare soprattutto per quanto riguarda i flussi migratori, che in molti paesi, tra cui l’Italia, hanno fino ad ora in parte compensato gli effetti avversi dell’invecchiamento della popolazione, ma le cui prospettive potrebbero essere meno favorevoli e più incerte in futuro, sia per quanto riguarda il numero di nuovi immigrati, sia per i possibili cambiamenti nelle loro abitudini riproduttive. Inoltre, gli effetti economici connessi all’invecchiamento della popolazione dipendono dalle politiche adottate (ad esempio, rispetto alle coperture pensionistiche e sanitarie, all’esistenza o meno di programmi di assistenza per le cure a lungo termine), che differiscono significativamente da paese a paese.

Con queste cautele, si può dire, in generale, che l’invecchiamento della popolazione aumenta l’indice di dipendenza (rapporto fra numero di pensionati e numero di lavoratori) e tende ad aumentare la spesa pensionistica, proprio mentre la contrazione della forza lavoro attiva può portare ad una riduzione dei contributi e delle imposte; pone pressioni sulla spesa sanitaria, cambiando anche il mix di cure e terapie necessarie, data la diversa morbilità (per tasso e tipologia) degli anziani rispetto ai giovani; tende ad aumentare la spesa per le cure a lungo termine e per assistenza, soprattutto laddove è più elevata la percentuale di soggetti di età più avanzata e non autosufficienti. Viceversa, la riduzione del tasso di natalità tende a ridurre la spesa per istruzione, ma questo non compensa la pressione sulle finanze pubbliche, già provate in molti paesi dalla crisi dell’ultimo decennio e particolarmente critiche in paesi ad alto debito pubblico, tra cui l’Italia.

Se a fronte della pressione per un aumento della spesa pubblica non si vuole aumentare il debito, occorre finanziare le maggiori spese con maggiori imposte, ma anche questo percorso è difficile e ha molte controindicazioni, soprattutto in paesi ad elevata pressione fiscale, tra cui, di nuovo, primeggia l’Italia. Un aumento della pressione fiscale contribuirebbe a rallentare la crescita economica, aggravando ulteriormente gli effetti negativi che lo stesso invecchiamento della popolazione può avere sulla crescita. In proposito, l’opinione prevalente, tra gli economisti, è che l’invecchiamento della popolazione riduca la produttività e la crescita, fino a produrre una “stagnazione secolare”: da un lato per la riduzione della forza lavoro attiva e per una sua minore produttività, dall’altro, per un eccesso di risparmio sugli investimenti (cfr., tra gli ultimi, Jones, 2018).

L’evidenza empirica, al momento, non sembra suffragare l’ipotesi di “stagnazione secolare” prevista da molti economisti a seguito dell’evoluzione demografica in atto e una possibile spiegazione (Agcemoglu e Restrepo, 2017) è che laddove la forza lavoro giovane e più produttiva è scarsa, si è maggiormente sviluppato l’uso delle nuove tecnologie, principalmente la robotica, compensando le carenze di offerta sul mercato del lavoro e sostenendo la crescita. Ancorché gli stessi autori avvertano che questa evidenza non comporta nessun meccanismo di causalità, né da essa discende che l’adozione delle nuove tecnologie possa neutralizzare gli effetti potenzialmente negativi dell’invecchiamento della popolazione sulla crescita, la suggestione che propone aiuta a capire come molte e diverse siano le variabili in gioco, soprattutto in economie in rapida evoluzione e caratterizzate da innovazioni tecnologiche che potrebbero avere grande rilievo, se opportunamente incanalate e valorizzate, anche per affrontare lo stesso fenomeno dell’invecchiamento.

Sia a livello europeo, con metodologie condivise e omogenee fra paesi, sia in Italia, vengono da tempo proposte e continuativamente aggiornate le simulazioni sugli effetti dell’invecchiamento della popolazione sulle principali voci di spesa pubblica.

In Italia, secondo le proiezioni riportate nella Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza 2017 (Ministero dell’Economia e delle Finanze, 2017), coerenti con le più recenti proiezioni condivise in sede comunitaria, la spesa pensionistica in rapporto al PIL passerebbe dal 15,3% nel 2020 al 18,4% nel 2040, per poi iniziare a scendere progressivamente fino al 13,8% nel 2070; la spesa sanitaria aumenterebbe, sempre in rapporto al PIL, di più di un punto percentuale nei prossimi 30 anni, per poi stabilizzarsi attorno al 7,6% al termine del periodo considerato; quella per assistenza aumenterebbe progressivamente per più di mezzo punto di PIL. Tenendo anche conto del contenimento delle spese per istruzione e per ammortizzatori sociali, il totale delle spese pubbliche age-related in rapporto al PIL passerebbe dal 26,9% del 2020 ad un massimo del 30,9% nel 2045, per poi tornare, lentamente, al valore iniziale, nel 2070.

Questi dati meritano alcune osservazioni.

Innanzitutto va sottolineato che essi sono strettamente dipendenti da una molteplicità di ipotesi (sull’andamento demografico, sul tasso di immigrazione, sulla crescita, sul tasso di occupazione, etc.) che vengono periodicamente aggiornate e che presentano margini di incertezza. Come si può apprezzare anche dall’ultima Nota di aggiornamento della Ragioneria Generale dello Stato (RGS) al Rapporto annuale sulle tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario (2017), che confronta le proiezioni che risultano dallo scenario nazionale base con quello definito in ambito comunitario, diverse ipotesi producono scenari diversi. Inoltre, queste proiezioni ipotizzano la stabilità delle politiche in essere.

I dati destano preoccupazione nel medio periodo, in quanto l’aumento previsto della spesa è di 4 punti di PIL da qui al 2045, ma appaiono meno allarmanti nel periodo successivo. Occorre però domandarsi se le politiche in essere, che a parità di altre ipotesi generano questo scenario a lungo termine, siano adeguate a fronteggiare i problemi e i bisogni delle diverse coorti che progressivamente invecchieranno nel lasso di tempo considerato.

La dinamica è determinata prevalentemente dalla spesa pensionistica, che è la principale componente di spesa pubblica. La sostanziale tenuta nel lungo periodo del sistema è il frutto di diverse riforme intervenute nel tempo, che se da un lato hanno garantito una soddisfacente stabilità di lungo periodo, dall’altro rischiano però di compromettere, per i giovani di oggi, o quanto meno per molti di essi, la possibilità di avere una pensione dignitosa in futuro. L’applicazione del metodo contributivo, associata ai bassi tassi di crescita e all’aumento della speranza di vita, garantisce un tasso di copertura relativamente basso, anche dopo molti anni di lavoro. Al contempo, non si sta adeguatamente sviluppando la previdenza complementare, anche a causa dell’elevata disoccupazione giovanile, della precarietà che caratterizza per troppo tempo l’ingresso nel mondo del lavoro e dei bassi salari, tutti fattori che, anche in presenza di adeguata informazione sui rischi di invecchiamento, non consentono comunque ai giovani di accantonare quanto sarebbe necessario per un loro futuro sereno. Le agevolazioni fiscali, da tempo previste per favorire la previdenza integrativa, pur particolarmente generose, non sono state in grado fino ad ora di stimolare sufficientemente questo pilastro, soprattutto per le fasce più giovani, che ne hanno maggiore bisogno (Giannini e Guerra, 2006).

È noto poi che il nostro sistema di welfare è ancora molto carente, frammentato e spesso incoerente sia per quanto riguarda le politiche di sostegno ai giovani – per migliorare la loro partecipazione al mercato del lavoro, anche con politiche di conciliazione dei tempi di lavoro e familiari, che avrebbero ulteriori ricadute positive sul tasso di partecipazione femminile e di fertilità -, sia per quanto riguarda le politiche per gli anziani, soprattutto se non autosufficienti. A fronte di queste carenze, continuano ad aumentare, anche nel nostro paese, gli indici di povertà, che colpiscono in modo crescente famiglie giovani con figli, ma che si rifletteranno presto anche su un numero crescente di anziani, a meno che non abbiano una pensione, altre fonti di reddito e ricchezza adeguati a far fronte alle carenze del welfare state o possano contare su aiuti familiari. Questi ultimi, per altro, sono in prospettiva sempre più carenti, data l’evoluzione delle strutture familiari, che consente sempre meno al welfare “familista” tipico del nostro paese, di supplire alle carenze dell’intervento pubblico. Ad una possibile crescente iniquità all’interno della generazione degli anziani di oggi, si affianca una ancor più forte iniquità intergenerazionale.

Come sottolinea un recente rapporto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OECD, 2017) cogliendo una tendenza comune a molti paesi, e di grande rilievo in Italia, ci sono due mega trend, che si stanno sviluppando e interagiscono fra loro, in modo da generale profondi squilibri, sia all’interno di ogni generazione, che fra generazioni: l’invecchiamento della popolazione e la crescente disuguaglianza nella distribuzione dei redditi e della ricchezza. Relativamente alla popolazione più giovane, il benessere economico della popolazione più anziana è migliorato fino ad ora, e questo miglioramento è stato significativo in Italia. Ma questo trend favorevole è molto facile che sia rovesciato in futuro. I giovani di oggi, che già soffrono le maggiori difficoltà, si ritroveranno ad avere prospettive peggiori, rispetto ai loro genitori, anche da anziani e subiranno dunque una doppia penalizzazione.

Oltre agli effetti descritti, ve ne sono molti tanti altri che andrebbero attentamente valutati.

Ad esempio, con l’invecchiamento della popolazione tende a cambiare la ripartizione del reddito fra consumo e risparmio e la loro composizione, con effetti sul mercato dei beni e dei servizi e sui mercati finanziari. Per quanto riguarda i consumi, tenderà ad aumentare la domanda di servizi, soprattutto quelli dedicati alla cura e alla salute della persona, ma cambierà anche la domanda di alloggi, di trasporti, di turismo, di cultura e di attività connesse al tempo libero. Gli effetti sono complessi e dipendono dalle specificità dei diversi paesi e dalla distribuzione per età della popolazione anziana, che, riguardando soggetti da 65 a più di cento anni, è evidentemente molto eterogenea, per capacità e bisogni.

Con riferimento agli effetti sui mercati finanziari, si può dire in generale che una aspettativa di vita più alta induce a un maggiore risparmio, che sarà poi decumulato nell’arco finale della vita. L’effetto netto, in ogni periodo, dipenderà dalla numerosità delle diverse coorti presenti, nonché dalle coperture fornite dal settore pubblico, da cui dipendono le esigenze di risparmiare, prima, e decumulare, poi. Un rapido aumento della coorte di popolazione anziana potrebbe determinare significativi disinvestimenti in attività finanziarie e immobili, con effetti sui prezzi, anche relativi, di questi assets. Contestualmente, la riduzione della forza lavoro tende ad avere effetti negativi  sulla domanda di investimenti, e quindi sull’offerta di attività finanziare, date le minori esigenze di finanziamento. Non va tuttavia trascurata, ma al contrario va colta come opportunità, l’esistenza di fattori compensativi e anche propulsivi sulla domanda di capitale: ad esempio, come si è già accennato, le nuove tecnologie, che rendono rapidamente obsoleto il capitale esistente, nonché la necessità stessa di riorientare e riorganizzare la produzione di beni e di servizi in funzione delle esigenze di una popolazione sempre più anziana.

Sono sufficienti questi pochi cenni a far comprendere come gli effetti dell’invecchiamento della popolazione sul consumo e sul risparmio, nonché sulla loro composizione, così come sugli investimenti, sui mercati finanziari e sui diversi intermediari, siano fenomeni particolarmente complessi, tanto più in economie aperte, come le nostre, con libera circolazione di merci e capitali. Oltre a dipendere dalla dimensione delle diverse coorti di popolazione e dalle loro diverse propensioni e preferenze per il consumo e per il risparmio, presenti in ogni periodo di tempo, gli effetti dipenderanno anche dai cambiamenti che nel tempo possono caratterizzare le varie coorti: le preferenze dei giovani, così come quelle degli anziani di oggi sono diverse da quelle dei giovani e degli anziani del passato e saranno molto probabilmente diverse da quelle dei giovani e degli anziani del futuro. Chi saprà adeguatamente rispondere a questi nuovi e mutevoli bisogni, non potrà che trarre vantaggio dalla aging society.

Quali politiche per una società age-friendly?

La varietà e la molteplicità di effetti indotti dall’invecchiamento della popolazione richiedono un’insieme articolato, ma fra loro coerente, di politiche. Non vi è un unico strumento, né vi sono strumenti validi in ogni circostanza. Nonostante i tratti comuni a molti paesi, occorre considerare attentamente la peculiarità dei singoli casi e soprattutto prevederne la possibile evoluzione, a livello nazionale e territoriale.

Alcune linee guida, tuttavia, sono chiare e universali, così come lo sono le caratteristiche che queste politiche dovrebbero avere.

Innanzitutto, le politiche devono essere basate, date le peculiarità del fenomeno, su una visione di lungo periodo, purtroppo spesso assente nel nostro paese, dominato dalle campagne elettorali e dalla promesse di breve periodo. Gli stessi individui, anche quando esprimono le loro preferenze di voto, tendono ad essere miopi e a sottovalutare i problemi della vecchiaia, così come l’effetto che le politiche di oggi possono avere sul benessere soggettivo e collettivo di domani.

Una visione consapevole di lungo periodo consente di agire prima che i problemi possano sorgere e non dopo, nel tentativo di ripararne i danni, con effetti positivi sia sui bilanci pubblici, sia sul benessere individuale e sociale.

Occorre inoltre flessibilità e capacità di adattamento a un quadro che seppur abbastanza definito ha particolari ancora nascosti e gradi di incertezza tali da richiedere un costante monitoraggio e la rapida individuazione degli aggiustamenti di volta in volta necessari alle politiche adottate. Il che non significa, come purtroppo accade spesso nel nostro paese, cambiare politica ad ogni cambio di maggioranza di governo, ma introdurre gli adattamenti necessari nell’ambito di politiche che dovrebbero avere comunque una loro continuità e stabilità, anche per garantire quella certezza nel futuro che è un altro ingrediente fondamentale per sviluppare una società age-friendly.

Un’altra importante avvertenza è quella di guardare al fenomeno non solo per i problemi che può porre, ma anche per le nuove opportunità che può creare e che, se opportunamente valorizzate, possono migliorare il benessere collettivo.

Tra queste “opportunità” vi sono certamente quelle legate ai flussi migratori, che meriterebbero tuttavia uno specifico approfondimento, non possibile in questa sede.

Infine, proprio per la molteplicità di sfide prodotte dall’invecchiamento della popolazione, serve il concorso di molti attori: istituzioni (governo ed enti territoriali), imprese, associazioni, famiglie e gli individui stessi che compongono le nostre comunità. Occorrono politiche coerenti e complementari a livello nazionale e a livello locale. All’interno di un quadro nazionale che garantisca la necessaria tranquillità alle generazioni di oggi e di domani, è necessario sviluppare politiche sul territorio mirate e attente, che tengano conto delle peculiarità e dei vincoli locali, e della molteplicità di microeffetti che a livello urbano, sociale e familiare produce il fenomeno. È qui dove l’interazione con tutti gli attori presenti sul territorio assume connotati più tangibili e promettenti.

Da queste premesse in merito alle caratteristiche principali che dovrebbero avere le politiche dedicate al tema dell’invecchiamento, e da quanto detto nel paragrafo precedente, discendono alcune considerazioni.

Innanzi tutto, è evidente che per affrontare il problema occorrano non solo politiche per gli anziani (soprattutto, nel contesto italiano, per far fronte alla non autosufficienza), ma anche e, nell’attuale contesto nazionale direi in via prioritaria, per i giovani di oggi, che saranno gli anziani di domani. Solo se si garantisce una vita lavorativa, una condizione economica dignitosa da giovani e lungo tutto l’arco vitale, si può avere una vecchiaia serena. Viceversa, situazioni di svantaggio da giovani e nell’arco della vita attiva tendono inevitabilmente a cumularsi e produrre elevati rischi di povertà da anziani. Per affrontare questo problema, particolarmente preoccupante nel contesto italiano, occorrono politiche specifiche sia formative (investimento in capitale umano) che di funzionamento del mercato del lavoro, che siano in grado di facilitare l’incontro tra domanda e offerta, in mercati in costante mutamento, e di aumentare i tassi di partecipazione e di occupazione dei giovani e delle donne, entrambi particolarmente bassi nel nostro paese. Per sostenere l’occupazione femminile e per evitare che questa vada a scapito della maternità, servono interventi di sostegno che consentano la conciliazione dei tempi di lavoro con le responsabilità familiari e pari opportunità di lavoro e salari per entrambi i generi. Nel disegnare queste politiche occorre ricordare che il modello familiare prevalente non è più quello della famiglia con capofamiglia maschio che ha una carriera lavorativa stabile, è in grado di mantenere l’intera famiglia, con figli, durante tutto l’arco di vita attiva e ha, al termine di questa, una pensione garantita e dignitosa. Né è più quello di giovani coppie che possono contare sui loro genitori, per la cura e la custodia dei figli, e che si faranno carico, successivamente, della cura e della custodia dei genitori stessi, una volta anziani.

L’investimento in capitale umano, assieme allo sviluppo di occupazione qualificata e all’applicazione delle nuove tecnologie, sono gli ingredienti fondamentali per aumenti di produttività e per una tenuta (e auspicabilmente una ripresa) della crescita reale e potenziale, che a sua volta è condizione primaria per affrontare con più serenità il problema dell’invecchiamento.

Per ridurre il tasso di dipendenza di una quota crescente di anziani su una quota sempre meno numerosa di giovani (donne e uomini) in età lavorativa occorre intervenire non solo sul denominatore, ma anche sul numeratore del rapporto (il numero di anziani a carico dei giovani). Non a caso, l’innalzamento, per legge, dell’età pensionabile in funzione dell’aumento della speranza di vita è una delle misure più frequentemente adottate dai paesi, tra cui il nostro, per contrastare gli effetti sulla stabilità del sistema pensionistico dell’invecchiamento della popolazione e per garantire pensioni più adeguate.

Le diversità di condizioni di salute della popolazione e le diverse esigenze familiari e soggettive, tutte in rapida evoluzione, richiedono tuttavia anche approcci più flessibili, che consentano, a chi ha ancora abilità e capacità fisiche e mentali, di poter continuare a dare un proprio attivo contributo al lavoro e al bene collettivo, anche se ha i requisiti per andare in pensione. Fornire opportunità agli anziani di mantenere una condizione lavorativa, con forme più flessibili, ma svolgendo attività che valorizzino le loro abilità e competenze, e senza che questo vada a scapito dell’occupazione giovanile, avrebbe un effetto benefico non solo sull’economia e sul benessere sociale, ma anche su quello soggettivo degli anziani stessi. Lo dimostra il fatto che molti individui in età pensionabile decidono, se possono, di continuare a lavorare, e, in caso contrario, sono comunque molto attivi in associazioni di volontariato e in altre attività, culturali, artistiche e ricreative.

L’aumento della speranza di vita si è accompagnata, fortunatamente, ad un aumento del periodo di vita in cui si godono ancora piene facoltà fisiche e mentali. La soglia dei 65 anni, che definisce l’ingresso nella cd. “terza età”, identifica in realtà soggetti molto diversi fra loro, con preferenze, bisogni, potenzialità e capacità fortemente eterogenei. In genere, fino ai 75-79 anni si ritiene che, a meno di problemi specifici di salute, gli individui siano ancora molto dinamici ed efficienti, potenzialmente capaci di contribuire positivamente al benessere collettivo e, in funzione della loro capacità di spesa, in grado di stimolare nuove domande, di servizi ricettivi, ricreativi, di turismo, cultura, ma anche per la ristrutturazione delle abitazioni e per nuove tecnologie, finalizzate ad esempio a fronteggiare i rischi di un peggioramento dello stato di salute. Successivamente tendono ad emergere maggiori fragilità, crescenti limitazioni fisiche e mentali da cui emergono bisogni che dovrebbero essere soddisfatti soprattutto per evitare di scivolare nella non autosufficienza, che a sua volta comporterà la domanda di nuovi e diversi servizi, soprattutto di cura e assistenza.

Alcune osservazioni discendono da quanto appena detto.

Le nuove domande di beni e servizi che emergeranno in funzione della numerosità delle diverse coorti, tenendo conto della variegata popolazione anziana, costituiscono opportunità, nuovi mercati in rapido sviluppo, su cui già le imprese più provvedute e lungimiranti stanno investendo, con effetti benefici anche sull’occupazione.

Mantenere un buono stato di salute è condizione prioritaria per consentire una age-friendly society, e per contenerne i costi di medio-lungo periodo. Non a caso, la prima raccomandazione che viene universalmente fatta in tutti i rapporti sull’invecchiamento redatti nei vari paesi e da parte di istituzioni internazionali è quella di mettere in atto tutte le politiche necessarie a garantire il più possibile la salute e la vita attiva degli anziani, restringendo il più possibile il periodo di non autosufficienza.

L’Organizzazione mondiale della sanità (WHO), sulla base di una approfondita indagine che ha coinvolto, con un approccio bottom-up (158 focus group e 1485 individui con più di 60 anni) 35 città di tutti i continenti, ha redatto da tempo una guida per identificare le caratteristiche che una comunità dovrebbe avere per essere age-friendly (WHO, 2007), intendendo con ciò che deve poter essere vissuta con lo stesso grado di soddisfazione da giovani e anziani. È stato costituito un sito web dedicato, Age-friendly World e un interessante network (WHO Global Network for Age-Friendly Cities and Communities), per individuare, anche facendo tesoro dell’esperienza e delle best practices dei vari paesi, le politiche più adatte e innovative per rendere le nostre comunità sostenibili ed “amichevoli” ad ogni età. Un aspetto importante che viene sottolineato è l’importanza di coinvolgere sempre anche gli anziani, i diretti interessati, nella progettazione e nel monitoraggio delle politiche che possono garantire una vecchiaia serena e attiva. Le aree di intervento, fra loro spesso intrecciate, su cui si concentra l’attenzione sono: l’ambiente urbano (ad esempio la presenza di spazi verdi e luoghi dove potersi incontrare, la sicurezza dell’ambiente urbano e l’assenza di barriere architettoniche); i trasporti (disponibilità e costo sostenibile di mezzi di trasporto accessibili, sicuri e confortevoli, per garantire, a qualunque età una adeguata mobilità); le abitazioni (ad esempio, la presenza di ascensori e altri interventi utili a rendere funzionali le abitazioni alle esigenze delle diverse età, la vicinanza ai servizi e ai mezzi di trasporto); la partecipazione sociale (accessibilità, anche economica, a eventi e altre attività, per favorire una vita attiva e sconfiggere l’isolamento in cui troppo spesso sono segregate le persone anziane); il rispetto e l’inclusione degli anziani, grazie anche a una loro maggiore interazione con le coorti più giovani; la partecipazione civica e l’occupazione attraverso il coinvolgimento in attività di volontariato, ma anche con maggiori opportunità di lavoro retribuito e comunque capace di valorizzare le competenze, l’esperienza e le abilità dei soggetti anziani; la comunicazione e l’informazione, e una consapevolezza che le nuove tecnologie possono costituire opportunità, invece che una minaccia anche per chi non è certo nativo digitale; il supporto della comunità (famiglia, amici, vicinato, quartiere) e la presenza di servizi sanitari adeguati alle necessità. Check list dettagliate, per ciascuna di queste aree, consentono di verificare se una comunità è age-friendly, e, in caso non lo sia, evidenziano quali potrebbero essere le policy da adottare.

Analoghi parametri vengono individuati in molti altri rapporti che, nei vari paesi, vengono da tempo redatti e aggiornati, per affrontare il problema. Ad esempio, il Milken Institute, una associazione americana non profit e non partisan (http://www.milkeninstitute.org/), pubblica da diversi anni un ranking delle migliori località USA per una vecchiaia di successo e benessere (http://successfulaging.milkeninstitute.org/2017/BCSA-2017.pdf). Di recente, lo stesso istituto ha anche pubblicato un interessante studio (Irving et al., 2018) su come cogliere le opportunità dell’invecchiamento della popolazione, considerando sia il valore del capitale umano degli adulti più vecchi, sia le prospettive di mercato per prodotti, servizi e nuove soluzioni per soddisfare le esigenze del loro numero crescente.

Questi esempi, a cui se ne potrebbero affiancare molti altri, sono sufficienti per mostrare che non mancano le riflessioni su come affrontare le numerose sfide dell’invecchiamento e valorizzarne gli aspetti positivi, e che vi sono buone pratiche a cui ispirarsi. Si tratta, nel nostro paese, di rimboccarsi le maniche e agire, nella consapevolezza che la sfida sarà vinta positivamente solo se ci si saprà attrezzare mettendo in campo gli strumenti giusti e si sarà in grado di farlo tempestivamente, prima che sia troppo tardi.

Bibliografia

Acemoglu D. e Restrepo P. (2017), Secular Stagnation? The Effect of Aging on Economic Growth in the Age of Automation, American Economic Review: Papers and Proceedings, vol. 107, n. 5: 174-179.

Giannini S. e M. C. Guerra (2006), Alla ricerca di una disciplina fiscale per la previdenza integrativa, in Messori M., a cura di, La previdenza complementare in Italia, Bologna, Il Mulino.

Irving P., Beamish R. and A. Burstein (2018), Silver to Gold. The Business of Aging, Milken Institute, Center for the Future of Aging.

Jones C. (2018), Aging, Secular Stagnation and the Business Cycle, IMF Working Paper, n. 18/67, Marzo.

Ministero dell’Economia e delle Finanze (2017), Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza, settembre, Roma.

OECD (2017), Preventing aging unequally, Paris, OECD.

Ragioneria Generale dello Stato (2018), Le tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario, Rapporto n. 18, Nota di aggiornamento, ottobre, Roma.

World Health Organization (2007), Global Age Friendly Cities: A Guide, Geneva, WHO.