Le proposte dell’Auser per un nuovo modello di RSA

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Il presidente nazionale Auser Enzo Costa il 3 novembre è stato audito presso la Commissione tecnica “per la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria della popolazione anziana” istituita dal Ministero della Salute e presieduta da monsignor Paglia.
L’epidemia del Covid 19 ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica la realtà della RSA, per la concentrazione di contagi e decessi provocati dal virus, aprendo un dibattito su come devono essere organizzate ma soprattutto su che cosa deve essere una RSA.
“Il problema va inquadrato in una più generale riforma del rapporto oggi esistente tra assistenza sanitaria e sociale – ha detto Costa – a favore di un coerente e integrato Sistema Sociosanitario Nazionale.
La scelta di fondo di Auser è quella di rendere esigibile il diritto di ogni anziano di invecchiare a casa propria. Ne deriva che l’assistenza sociosanitaria degli anziani non autosufficienti vada inserita nel più generale problema dell’organizzazione dell’assistenza domiciliare e di condizione abitativa degli anziani.
Malgrado i limiti evidenti Auser ritiene che le RSA siano un servizio importante per persone che non potrebbero essere assistiti a domicilio e ritiene che la riforma delle RSA debba tener conto di una serie di importanti indirizzi che abbiamo presentato alla Commissione.”

Il diritto dell’anziano di invecchiare a casa propria
Il rapporto tra domiciliarità e residenzialità deve essere coniugato con intelligenza tenuto conto che lungimiranti politiche di potenziamento dei servizi socioassistenziali territoriali integrato a politiche abitative attente ai bisogni degli anziani possano giocare un ruolo fondamentale per la loro vita, ma anche per i bilanci pubblici in quanto consentirebbero di contrastare efficacemente il ricorso a strutture pubbliche e/o private sanitarie e para sanitarie con rilevanti benefici per la spesa sanitaria.
Città, case, strutture, servizi, vanno rese compatibili con le esigenze che maturano lungo l’intero arco della vita delle persone, non solo perché più accoglienti per tutti, ma anche perché possono prevenire i rischi di fragilità in vecchiaia, generando una minore domanda sanitaria.
Occorre, in sostanza, produrre una nuova offerta abitativa e di servizi di assistenza sociosanitaria domiciliare in grado di mettere le persone in condizione di cercare e trovare autonomamente risposte efficaci ai propri bisogni, riducendo le barriere che i più diffusi modelli abitativi e di organizzazione dei servizi oggi impongono ai soggetti fragili, a causa dell’età o di altre disabilità.

RSA come “Centri Servizi” capaci di offrire assistenza a domicilio
Occorre superare l’attuale drastica frattura tra servizi domiciliari e residenziali al fine di offrire alle persone opportunità che possano fondarsi su un continuum di interventi.
RSA anche a sostegno delle cure domiciliari, dove la persona che è assistita al domicilio possa andare a fruire del bagno assistito, e/o della mensa, e/o di momenti di animazione. Oppure possibili RSA progettate come “Centri servizi”, ossia capaci di offrire assistenza al domicilio (soprattutto dove i servizi domiciliari del territorio sono fragili).
E’ semplicistico e sbagliato pensare che il problema degli anziani critici si risolve realizzando più strutture residenziali con più posti letto sulla base dell’attuale modello: si tratta invece di realizzare un graduale processo di riconversione a partire da un diverso paradigma al cui centro collocare l’anziano fragile che, malgrado le sue limitazioni, va considerato come portatore di un suo progetto di vita.

No a RSA mini ospedali ma “casa” dove l’anziano recupera l’autonomia
Il primo obiettivo da perseguire è evitare che le RSA siano considerate come dei mini ospedali in cui si riproduce la routine tipica della vita in ospedale. Considerando che lo scenario prevalente vede le RSA coinvolte nella ospitalità di anziani dimessi dall’ospedale nella fase post acuta per essere riabilitati alla vita “normale”, il modello da assumere a riferimento in base al quale riconfigurarle è quello di considerare le RSA come una sorta di “casa” di transizione in cui l’anziano recupera la sua autonomia.
Tutto questo senza far venire meno la componente sanitaria ai fini sia di una buona riabilitazione e sia tenendo conto che accolgono sempre più soggetti con gravi patologie in atto e facili alla riacutizzazione se trascurate.

RSA non luoghi di mera “custodia” ma luoghi dove “far vivere nel modo migliore possibile”
Le RSA non debbono essere considerate luoghi di mera “custodia” di anziani non autosufficienti. Devono essere invece luoghi di “cura” dove è garantito il percorso riabilitativo con interventi sulle diverse esigenza sanitarie. “Cura” nelle RSA deve significare “prendersi cura”, ossia un insieme di attenzioni il cui obiettivo non è solo “far guarire” e nemmeno solo “medicare” o “riabilitare” bensì “far vivere nel modo migliore possibile” pur in presenza di gravi limitazioni personali. Assumere questi due criteri significa garantire ai ricoverati una vita di relazione il più ricca possibile.

E offrire “vita di relazione” implica fantasia organizzativa: presenza di animazione, palestra, attività motorie, ingresso di associazioni e volontari, promuovere e sostenere il rapporto con i familiari (coltivare gli affetti), formazione a questo scopo degli operatori. E chi è costantemente allettato non deve essere a priori escluso da offerte per potenziare le relazioni. Così come per i non pochi pazienti con gravi forme di demenza presenti nelle RSA, per i quali andranno organizzate modalità che consentano di “accettare” e gestire i loro comportamenti: alzarsi di notte e muoversi nella struttura, mangiare in ore diverse. Anche questo è una forma di cura.

Evitare il rischio della spersonalizzazione
Il rischio della spersonalizzazione è quanto mai presente nelle strutture residenziali collettive, subordinando i comportamenti dei singoli ai ritmi organizzativi. Continuare a “far sentire persona” l’anziano deve essere l’obiettivo centrale della vita in RSA ed è attenzione che implica azioni molto concrete: poter portare nella propria camera oggetti e piccoli arredi ai quali si è affezionati, poter farsi rammendare il vestito che ha molti anni ma al quale si tiene molto (magari a cura di residenti capaci di farlo), poter scegliere cosa mangiare e come passare il tempo tra diverse alternative, garantire privacy adeguata (anche con ampia presenza di stanze a due letti e singole).

Minialloggi e nuclei per diversi gradi di non autosufficienza
E’ cruciale in una RSA la possibilità di offrire risposte molto differenziate, puntando ad articolare l’ospitalità nel modo più flessibile possibile: minialloggi e anziani fragili ma ancora autosufficienti (ad esempio con priorità a congiunti di chi è ricoverato), nuclei per diversi gradi di non autosufficienza per evitare che in caso di aggravamento il ricoverato debba cambiare struttura. Certo la gestibilità di questa articolazione dipende da molti fattori: il contesto ambientale, i limiti strutturali e logistici, le capacità di investimento del gestore. Potrebbe però essere incentivata, anche valorizzandola come elemento di qualità nelle procedure di autorizzazione e di accreditamento.

Un contratto unico nazionale per chi opera nelle RSA
Un tema delicato è il numero di ore che attualmente gli operatori dedicano ai pazienti È giudizio comune che gli attuali parametri stabiliti per le RSA sono spesso insufficienti per assicurare le giuste cure. Non per nulla sempre più sovente i familiari pagano di tasca propria per fornire assistenza supplementare. É ineludibile la necessità di una revisione al rialzo dei parametri, degli OSS, dei fisioterapisti, degli infermieri, concertata con i rappresentanti dei familiari, dei gestori delle RSA e di tutti coloro che possono dare il loro contributo per migliorare questa situazione.
In questo quadro si colloca un intervento decisivo sull’inquadramento contrattuale 􏰉del personale impegnato nelle RSA. Oggi il settore è una giungla delle retribuzioni e trattamenti. Noi riteniamo che dovrebbe esserci un contratto unico nazionale, che metta le RSA sullo stesso piano degli altri servizi sanitari.

Un “sistema delle cure” per la non autosufficienza
La fragilità dimostrata nel fronteggiare l’epidemia ha fatto maturare l’orientamento a incardinare più robustamente le RSA nel sistema sanitario visto che sono servizi per persone malate e non sono “case di riposo” ma “luoghi di cura”. A condizione che “curare” sia obiettivo da declinare come chiarito, e una maggiore competenza del SSN non implichi la rinuncia alle attenzioni e requisiti sin qui esposti.
Ciò che va irrobustito è un completo “sistema delle cure” per la non autosufficienza, progettando in modo organico offerte domiciliari e residenziali e loro interazioni, c’è una azione che sarebbe utile promuovere all’interno del SSN (e delle funzioni delle ASL): garantire una gestione integrata delle due componenti, inclusi i raccordi finanziari. Potenziare la tutela a domicilio di non autosufficienti può condurre anche ad un risparmio del SSN, perché spenderebbe meno rispetto ai ricoveri in casa di cura o in RSA.

L’assistenza medica nelle RSA, due modelli a confronto
Schematicamente, si citano 2 modelli: il primo individua la responsabilità del MMG che ha, tra i suoi assistiti, anche i residenti della RSA; il secondo prevede la presenza di una equipe medica specifica della struttura. Vi sono aspetti positivi e negativi in entrambe le modalità. Il primo modello che rende le RSA più inserite nell’”anima” del territorio è efficace se i MMG sono positivamente coinvolti nel “fare equipe” con gli operatori della RSA. Nel secondo modello il rischio è di replicare la logica del mini ospedale che comunque offre il vantaggio di aggredire più tempestivamente alcune criticità e di essere meno ambigua circa le responsabilità.

Liste d’attesa e modalità di accesso alle RSA
Poter fruire di un posto letto in RSA con metà del costo a carico del SSN è un diritto esigibile ben precisato nella normativa sui LEA. Dunque devono essere evitate le lunghe liste d’attesa oggi presenti in diversi territori. E se i LEA includono questo diritto, allora nel sistema col quale il Ministero della Salute valuta se le Regioni adempiono agli obblighi dei LEA va inserito esplicitamente un indicatore che evidenzi se nelle singole Regioni vi sono liste d’attesa per i posti in RSA in convenzione con il SSN, come una delle misure sull’adempimento LEA, mentre la valutazione dei LEA trascura questo aspetto. E la condizione economica degli utenti deve essere utilizzata non tra gli indicatori che definiscono la priorità di accesso agli interventi, visto che si tratta di prestazioni per persone malate, ma solo per determinare la contribuzione al loro costo.

La trasparenza della gestione delle RSA e la certificazione di qualità
Per evitare i troppi casi di malaffare che si sono verificati come documentano le ispezioni dei Nas, è necessari intervenire su più linee di azione. Intanto quello della prevenzione. Esercitare un controllo serrato sul contenuto e rispetto delle convenzioni; introdurre in forma vincolante un serio sistema di gestione per la qualità tanto delle strutture quanto dei singoli operatori. In numerose strutture, in particolare nel Nord, hanno adottato sistemi di gestione della qualità, ma la maggior parte sono ispirate alla norma UNI EN ISO 9001 e alla norma UNI 10881. Soltanto un numero limitato ha percorso la strada della certificazione da parte di un ente terzo (organismo di certificazione), investendo in organizzazione e offrendo al pubblico un attestato emesso da un ente indipendente.

La sostenibilità del sistema delle RSA
Il rebus principale riguarda il finanziare questo segmento di welfare, visti gli elevati costi destinati a crescere ulteriormente dato l’invecchiamento della popolazione. Se la riforma delle RSA viene considerata isolata dal contesto comporterà dei costi non lievi. Se invece viene contestualizzata, in modo particolare in relazione a efficaci politiche di prevenzione, una politica domiciliare articolata congiunta ad un rafforzamento dei servizi di prossimità e a politiche abitative intelligenti, l’insieme dei costi sociali e sanitari evitati c’è da ritenere che il bilancio sarà decisamente a suo favore. A questo fine è evidentemente determinate il ruolo pubblico a partire dal riordino dei flussi finanziari (pubblici e privati) che attualmente sostengono il settore.

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