Un test inatteso e particolarmente spietato per valutare i limiti delle nostre politiche sociali e socio-sanitarie

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di Flavia Franzoni e Raffaele Tomba

Nel capitolo che di seguito ripubblichiamo, ci si era sforzati di descrivere quale dovrà essere l’offerta di servizi per la popolazione anziana, nel futuro tratteggiato dai dati anagrafici sistematizzati da Luigi Bovini. Il testo ricostruiva la storia dei servizi per gli anziani nei nostri territori e nel nostro Paese; certamente una storia ricca di sperimentazioni e di eccellenze rispetto alle quali però non possiamo continuare semplicemente a compiacerci. Già l’articolo evidenziava alcuni dei problemi che il coronavirus, come una cartina di tornasole, ha fatto emergere. L’affaticamento dell’assistenza domiciliare, che risponde con difficoltà ai sempre più complessi bisogni degli anziani e delle loro famiglie, è certamente uno egli elementi che ha indebolito complessivamente quell’intervento territoriale che avrebbe meglio regolato le ospedalizzazioni in particolare in alcune regioni, soprattutto se si fossero ben prefigurati i rapporti con la medicina di base. Servizi domiciliari che attualmente sono polverizzati in una miriade di gestioni locali, comunali o di Unioni di Comuni, con forme di gestione differenziate che vanno dalla gestione diretta, alla delega all’AUSL o all’ASP, fino ad Istituzioni e Aziende speciali consortili. Una situazione che non ha consentito un tempestivo riorientamento degli interventi.

Gli operatori danno il meglio di sé, sia sul piano dell’impegno che della professionalità, lavorano anche in rete tra di loro e con gli altri servizi e il terzo settore. Essi tuttavia non fanno sistema: non hanno una struttura omogenea e, al massimo, hanno una governance a livello di Unione di Comuni, se ad essa è delegata la funzione. Durante l’emergenza ci si è infatti rivolti alla Protezione Civile anche per la sola consegna dei generi di prima necessità (ovviamente a fianco dell’impegno costante delle Caritas e di altri gruppi di volontariato) e, salvo poche eccezioni, si è ricorso ai servizi sociali solo per la distribuzione dei buoni spesa. In ogni caso già il Piano sociale e sanitario regionale sollecitava a mettere a sistema i servizi sociali territoriali.

Anche le drammatiche morti e le infezioni nelle strutture residenziali per anziani (nelle Case residenza per anziani, oggi CRA, ieri RSA, ma anche in tante case famiglia e case di riposo, etc.) richiedono di ripensare sia ai target cui sono destinati i servizi di queste strutture, sia alle modalità organizzative e alla qualificazione del personale cui sono richieste sempre maggiori attenzioni alla cura e all’integrazione con le prestazioni sanitarie. Occorrono anche modificazioni delle procedure di accreditamento. Ad esempio le RSA, per anziani e per disabili, devono rispondere a precisi criteri per l’accreditamento, criteri che non prevedevano presidi e metodologie adeguate per contrastare le epidemie.

Il Coronavirus è stato dunque un test inatteso e particolarmente spietato, per costringerci a valutare i limiti delle nostre politiche sociali e socio-sanitarie. Alla luce dei nuovi dati demografici e di salute, ma anche della drammatica esperienza recente, si devono perciò riaffrontare temi che riguardano i valori fondanti delle politiche sociali orientate ai diritti di tutte le persone. A quali condizioni si può ancor sostenere il primato dell’assistenza domiciliare? Come si può riorganizzare il servizio di assistenza domiciliare, anch’esso privo delle norme di prevenzione, ancora scarsamente integrato con i servizi sanitari, ma soprattutto fondato su risorse professionali, quando la parte più consistente dell’assistenza viene fatta dai familiari, dalle badanti e dagli altri care givers? Quali modelli di residenze possono garantire salute e servizi sanitari adeguati, ma anche legami rassicuranti con i familiari e con la comunità?…

Oltre a tutto questo l’emergenza corona virus ha fatto emergere con drammaticità la grande solitudine dei tantissimi anziani fragili, più malati di quel che non pensavamo, ma anche più soli nelle proprie case.  Anziani che sfuggono al radar dei servizi e che non riescono a fruire della rete di offerte di sostegno che pur esiste. Anche questo è un tema già segnalato nel testo qui pubblicato, che aveva indotto a collegare strettamente le politiche sociali tradizionali con la promozione di un nuovo modo di abitare e con lo sviluppo di legami comunitari capaci di venire in aiuto ai più fragili e isolati, ma anche a tutti quegli anziani che vogliono aver cura della propria vita attiva.

Il nuovo libro, che Luigi Bovini ci sollecita a scrivere insieme, dovrà impegnarsi su questi temi a partire da una nuova organizzazione della medicina territoriale, dalla governance del sistema alla rete dei servizi residenziali semiresidenziali e domiciliari fino a rintracciare e analizzare tutte le sperimentazioni anche micro che possono aiutare tutti gli anziani a vivere meglio.

(Bologna 10 giugno 2020)

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