Comincia bene questa giornata di febbraio (2018). Sole a volontà, come da una settimana, e freddo quanto basta. La torre della TV sembra più alta e più bella, illuminata al naturale, forse anche più vicina e pare che voglia entrare in casa. Clou della giornata: pranzo con una amica recente e molto particolare.
C’è tempo e mi perdo a cercare calzini senza buchi e a fare una colazione senza fretta, cose ambedue inusuali. Sottofondo: la bellissima voce di Milva che canta (1988) Alexander Platz di Battiato. Poche le ragioni per impigrirmi, per cui… si parte.
Titubo: mezzi pubblici o passeggiata all’aperto ? L’“Aufwiedersehen“ di Milva mi sospinge verso la seconda opzione e via: da AlexanderPlatz alla Porta di Brandeburgo.
D’altra parte sono giorni di perfetta salute (non dico forma) e me la posso permettere.
Eppoi in questo periodo in cui i pochi turisti non disturbano perchè si alzano tardi e vagabondano smarriti e sonnolenti, si sta bene per strada, si può parlare da soli, come mi capita sempre più spesso, e si notano cose che di solito sfuggono.
Marx ed Engels se ne stanno tranquilli al Lustgarten con le ginocchia lucide per lo sfregamento buonaugurante a cui nessun Wanderer rinuncia. Pigra l’attività museale, poche le imbarcazioni turistiche. Che pacchia!!!! Supero l’isola dei musei e imbocco il viale Unter den Linden. Un cantiere a cielo aperto da almeno tre anni. Opere pubbliche utilissime per una Berlino in permanente trasformazione da un secolo, dove non riesci a fare una foto panoramica senza dentro una gru. La U5, per esempio, grande linea di comunicazione metropolitana sotterranea e la pulizia dei palazzi storici che si affacciano sul viale. Opere che paiono non finire mai. Si moltiplicano i tempi di realizzazione e i costi relativi, mettendo a dura prova gli stereotipi sui tedeschi e riempiendo le pagine dei giornali di relative polemiche. Una delle più grandi riguarda l’aereoporto di Schoenefeld la cui realizzazione ha un ritardo di 5 anni. Insomma, una convergenza europea tra Berlino e l’Italia, dove in materia di ritardi e di lievitazione dei costi siamo „Cassazione“ per dirla alla napoletana.
Su qualcosa almeno facciamo scuola.
Provo di immaginare come sarà il viale completamente ripulito e libero da cantieri, visto che forse non vivrò abbastanza per vederlo con i miei occhi.
La mente torna a 30 anni fa, alla Berlino divisa, quando questo viale che è uno tra i più famosi e cantati d’ Europa, era libero da gru, transenne e supermarket, con i suoi palazzoni un po’ ingrigiti, scarso traffico di Trabant, sobrietà e un po’ di decadenza, ma con un tocco di malinconico romanticismo, almeno per me che attraverso il prisma dell’amore, vedevo del mondo solo le infinite poesie che ogni cosa mi regalava (dai viaggi esotici nel Pergamon fino alle estasi dello stinco di maiale con salsa di funghi di Mutter Poppe, comprese le fatiche del carbone trascinato fino al terzo piano per scaldarsi e le docce semifredde di cui si riusciva perfino a godere).
Al n. 6 entro nella sede centrale della Humboldt Universitaet. Pare che stamattina arrivi Gentiloni per una prolusione che anticipa l’incontro con la Merkel. Pochi poliziotti distratti e nessuno sbarramento. Solo alcune signorine che nell’Aula del Senato Accademico esigono il passy che non ho avuto tempo di chiedere il giorno prima. Provo con gentilezza a insistere mentre vedo arrivare alcuni giornalisti italiani (mi viene in mente per alcuni la parola pennivendoli ma mi pento del pensiero perfido). Le ragazze, con gentilezza di molto superiore alla mia mi dissuadono perchè le norme sono motivate da esigenze di sicurezza e non si transige sui controlli previi.
Rispondo che vado via volentieri: in fondo si tratta solo di un Presidente del Consiglio!!! Vedo che hanno capito bene l’allusione e, come tutti i tedeschi, ne sono contente perchè non possono cogliere la sottile critica che rivolgo non al mio Presidente ma alla sottovalutazione che i nordici amano esercitare sull’Europa del sud. Me ne vado ma con una curiosità insoddisfatta: la faccia di Gentiloni che legge (non ne può fare a meno perchè è sul frontone della prima scalinata che porta all’Aula Magna) una delle Tesi di Marx su Feuerbach, impressa in terdesco e a caratteri cubitali „I filosofi hanno finora soltanto interpretato il mondo in diversi modi; ora si tratta di trasformarlo“. Si chiederà certamente come mai qui la rottamazione va a rilento.
Mi chiedo perchè un incontro tra due presidenti non determini il solito scompiglio e blocco di una parte della città e apprenderò solo la sera che l’incontro, causa accordo sulla Grosse Koalition, è stato rinviato alla settimana successiva.
No, perchè anche io ho i miei diritti. Se la visita di un qualunque ministro polacco o ungherese fa bloccare il centro della città per ore, esigo, per par condicio, che lo blocchino anche quando arriva il mio Presidente del Consiglio, almeno posso mandarlo a quel paese con una motivazione più concreta e personale, visto che un vaffa a Gentiloni, uomo mite ed educato, non mi viene spontaneo e dal profondo, come sarebbe per altri (mi tocco scaramanticamente senza farmi vedere). La mia amica confermerà più tardi che, in ogni caso, nel Nord Europa il Sud è considerato tra il poco e il niente: bello e inutile, come diceva in un film il docente di Medicina consigliando al suo bravo allievo di andarsene dall’Italia.
Non che non si parli sui media della nostra amata patria, ma prervalentermente per motivi di mafia, corruzzione e poco più. Per il bello rivolgersi alle Agenzie turistiche.
Uscendo posso ammirare la Staats Oper, tornata da poco al suo antico splendore, grazie a quei lavori infiniti i cui segni sono ancora visibili. Modesta folla alla biglietteria. Tra pochi giorni la prima di Tristan Und Isolde diretta da Barenboim nella quale la mia ex moglie tenterà un nuovo successo canoro, al quale 30 anni fa non avrebbe osato ambire. Provo una lieve soddisfazione nel riflettere sul fatto che questa capitale fosse predestinata ad essere un luogo importante nella mia vita. Mi sto abituando all’idea che, come Marlene Dietrich: non posso andarmene senza lasciare sempre una valigia a Berlin.
Strano come vecchi file archiviati da decenni, che non davano segni di vita e di cui ormai non sospettavo neanche l’esistenza, d’improvviso e senza un apparente motivo, resuscitino disordinati come una scolaresca che corre alla fine delle lezioni!!!!
Nei luoghi dove si è vissuto bene e molto è spesso così: il passato ti aspetta, sornione, dietro gli angoli che hai dimenticato e ti viene incontro, a volte ti aggredisce, altre ti colpisce duramente, restando innocuo solo quando l’anzianità ti permette di guardare il film della tua vita con serenità.
La passeggiata si sta trasformando in un viaggio nel tempo e dalla memoria vengono fuori immagini dimenticate, volti mai più visti, pensieri accantonati per decenni, disegni di felicità e di tristezza che si sviluppano come un rizoma e che ora sembrano di un personaggio a me esterno, inventato dalla fantasia di un romanziere.
Mi avvedo, non per la prima volta, che Piazza A. Bebel è racchiusa tra l’Università e il Teatro dell’Opera, spaziosa, anche troppo pulita, con qualche musicista che raggranella il pranzo suonando pezzi di musica classica, e faccio un istintivo paragone con Piazza Verdi, che simboleggia la situazione dell’Italia: bella, puzzolente e maltrattata da coloro che dovrebbero amarla.
Mi auguro una convergenza Europea, stavolta del sud rispetto al nord.
Fuggo da questa „distrazione“ e attraverso Friedrichstrasse. Un’ occhiata da lontano a Gendarmen Market, dove il più piccolo della nostra covata si dedica ad un Ausbildung per diventare chef. Lo vedo, il nostro cucciolo, che si sta forgiando tra lavoro, studio e sacrifico da emigrante. Provo un senso di soddisfazione per lui e per come sta crescendo (grazie alle virtù della mamma ovviamente) e mi vengono in mente anche gli altri 3 figli, sparsi per il mondo. Alla fine, sarà il sole, mi incupisco un poco per non averli lì con me e mi consolo pensando che ho 4 figli tutti diversi, e tutti così bravi, che mi viene il dubbio che, a dispetto della mia mediocrità paterna, me li sia proprio meritati.
Arrivo al Forum di Willy Brandt. Rammento ora che non ci sono mai entrato!!!!
Una gran foto, che fece il giro del mondo e che suggerisce ancora oggi una emozione incontenibile, almeno per chi ha la mia età, campeggia dietro la vetrina. Pare che non ci fosse stata nessuna decisione politica e che si sia trattato di un gesto spontaneo e istintivo, fuori dal protocollo. In ogni caso quel gesto di gettarsi in ginocchio sulle scale del Monumento alle vittime della rivolta del Ghetto di Varsavia, per chiedere perdono a nome del popolo tedesco assunse un valore storico. E lo fece lui, un tedesco che si era rifugiato all’estero e non aveva avuto parte attiva negli orrori del nazismo. Lui che, mi dicono, per anni ha dovuto subire l’accusa di essere un traditore del popolo perchè rifugiato all’estero mentre venivano accolti a braccia aperte gli ex ufficiali della Wehrmacht. Storia difficile e sofferta quella tedesca, che spero un giorno di riuscire a comprendere.
Finalmente sono a due passi dalla Porta di Brandeburgo e sono arrivato all’appuntamento in anticipo, secondo la mia abitudine, particolarmente apprezzata in Germania anche se sempre meno (quella famosa convergenza europea al peggio, di cui sopra).
Aspetterò passeggiando. Mi trovo vicino al fiume e accanto al Centro Einstein: mi fermo un attimo perchè non si sa mai che qualche po’ di fosforo fluttuante non possa captarlo anche io per rinvigorire le mie stanche meningi!!!!. Di fianco, c’era l’Istituto Max Planck (prima che ci si insediasse la ARD, rete televisiva nazionale pubblica), un posto mica da niente, visto che nell’anno 1.900 si tenne qui la sua prima prolusione sulla teoria dei quanti. Prendo il sole sulla scalinata: non si sa mai che ci siano rimasti dei quanti nell’aria, così ne prendo un po’ anche se non so cosa farmene.
Considerato che la mia passeggiata finisce in un luogo da pozzi di scienza, mi pare quasi di essere diventato più importante lungo il percorso.
Rendo omaggio velocemente e indegnamente a due nomi che hanno fatto la storia recente della fisica, perchè vedo trotterellare verso di me la mia amica.
Ha un incarico di rilievo nel sistema politico nazionale tedesco, come accade a pochi italiani, ed è per me una specie di professoressa di scienze politiche.
Una persona di quelle che, se non si avesse la fortuna di trovarle già fatte, bisognerebbe inventarsele.
Toscanaccia, di non comune arguzia politica, con esperienze che „avercene da mettere nel curriculum“, sincera ed estroversa al limite dell’autolesionismo, con una capacità di analisi magnitudo 360° sia latitudinale che longitudinale. Inoltre non si è lasciata „tedeschizzare“ oltre il lecito, diversamente da molti italiani di lunga emigrazione, ed è immunizzata dagli stereotipi di ogni tipo.
Una persona che stupisce sempre e dalla quale si impara moltissimo, se non si teme la franchezza e la trasparenza.
Le nostre piccole colazioni sono per me sempre fonte di apprendimento e di divertimento e mi regalano sempre uno stato d’animo positivo.
Mi lascio guidare verso un locale molto carino, lungo lo Spree, installato da tedeschi provenienti da Bonn, trasferitisi quando Berlino è diventata la capitale della Germania unificata e si sono dovuti spostare molti ministeri. Ci sono ovunque reperti della vecchia Germania Est, compresa la foto di Honecker e cartelli della DDR, che, immagino, facciano tendenza, visto che i nuovi padroni occidentali hanno tentato di far scomparire ogni simbolo del terribile periodo comunista.
Per me, che sotto la foto di Honecker ho celebrato un matrimonio, è come stare a casa. In fin dei conti i matrimoni, sotto qualsiasi regime, sono quasi sempre un momento molto felice nella vita dei popoli!
Ci dilunghiamo in lungo e in largo sugli eventi tedeschi, illuminando una serie di angoli bui che fatico a rischiarare a causa dei miei limiti linguistici, partecipiamo alla sofferenze italiche, benchè consolati dal tacchino al forno, pronostichiamo a destra e a manca rispetto alle prossime elezioni politiche italiane, con qualche timido confronto con il processo di costruzione del governo tedesco.
Un paio di espressi accettabili sorbiti mentre sparlottiamo con il giovane cameriere italiano che ci spiega quante ore lavora e quanti concertini serali va a spupazzarsi nei locali aperti di notte e che, dopo averci dato un quadro non esaltante della sua vita, conclude: in ogni caso in Italia starei peggio. Leit motiv che abbiano sentito centinaia di volte e che spiega il numero basso dei rientri in patria di quel milione e ottocentomila italiani trasferitisi all’estero negli ultimi 5 anni.
Auguri, caro giovanotto, e via perchè la pausa è finita.
Il sole del pomeriggio è ancora più forte. I palazzi governativi sono belli al sole, col fiume che gli brilla intorno. L’ultimo perfido pensiero si perde nell’aria: qui si che gli architetti si sono divertiti un casino negli ultimi 15 anni!!! E i palazzinari anche più di loro, visto che la terra era tutta nella Germania Est e non costava niente!!!! Si sono fatti il naso d’oro, come si dice in modalità tedesca.
Saluto la mia amica, contento delle chiacchiere, del cibo, della sua amicizia e del sole nordico che non demorde e mi avvio verso casa.
Stavolta però….mezzo pubblico!!!!